Iraq, primavera 2003. Il capitano Roy Miller guida una delle squadre incaricate di rintracciare le armi di distruzione di massa che sono state il principale casus belli per l’attacco degli americani e dei loro alleati nel paese del Golfo. Dopo diverse operazioni andate a vuoto Miller, su segnalazione di un civile iracheno, si imbatte in una riunione segreta di alcuni ex pezzi grossi del regime, gli stessi a cui stanno dando la caccia sia la CIA che l’intelligence che dipende direttamente dal Governo.
È così che Miller comincia a sospettare che ci sia qualcosa di poco chiaro nei rapporti che gli sono stati forniti e decide di andare a fondo alla questione. Ma c’è qualcuno che non ha nessun interesse che la verità venga scoperta…
Reduci dalla felice esperienza comune di due episodi della trilogia di Bourne, Greengrass e Damon si ritrovano sullo schermo per raccontare una vicenda di intrighi internazionali e verità nascoste questa volta tragicamente autentica. Attraverso gli occhi di un soldato convinto della necessità del suo “sporco lavoro” e lo sguardo nervoso della macchina da presa di Greengrass, lo spettatore viene guidato nelle pieghe degli interessi (e delle menzogne) che accompagnarono l’inizio della seconda guerra in Iraq.
La connivenza (o per lo meno l’ingenuità colpevole) dei giornalisti assetati di scoop, che assecondarono le forzature di chi spingeva per l’intervento armato mettendo da parte le vie diplomatiche, è un aspetto interessante di un film in cui per una volta nemmeno la CIA ha il ruolo del “cattivo”.
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Nel caos iracheno le caratterizzazioni non hanno a dire il vero troppe sfumature: il politico senza scrupoli con la faccetta innocua di Greg Kinnear, l’agente CIA un po’ cinico di Brendan Gleeson, l’eroico soldato Damon, ma soprattutto “Freddie”, l’iracheno comune che rigetta l’occupazione, ma pure gli accordi con i sopravvissuti di un regime senza scrupoli. Tutti i personaggi sono costruiti e posizionati nel racconto per guidare in modo forse un po’ didascalico (ma non per questo meno coinvolgente) in un percorso di rivelazioni che indica le diverse responsabilità, ma non dà facili soluzioni.
Anzi, indica chiaramente le drammatiche prospettive che la distanza dagli eventi narrati (dal 2003 ad oggi) ha reso evidenti. I progressi della situazione irachena (che persino gli osservatori più critici hanno notato negli ultimi mesi) non tolgono nulla al dramma di un paese che dopo anni sotto un regime terribile non ha certo abbracciato la democrazia obliterando il proprio passato di guerre tribali e persecuzioni religiosi (queste ultime invece tragicamente peggiorate).
Detto questo, proprio l’evidenza dell’assunto – già ampiamente percorso dalla stampa e dalla televisione – rende per certi versi il film un po’ meno efficace se non altro per lo spettatore più informato che non affronti la visione come quella di un qualunque film action (magari anche sviato da una promozione sensazionalistica e un po’ miope).
Quello che il coraggioso capitano Miller va a scoperchiare è un pozzo di cui si sa ormai un bel po’ e la concitazione dell’azione, che lascia poco spazio all’approfondimento dei personaggi, finisce per far puntare tutto su un intreccio in fondo anche prevedibile. Detto questo la solidità delle interpretazioni e della regia fa di Green Zone un film godibile e interessante per la semplice efficacia nel raccontare eventi che continuano a pesare sulla cronaca dell’oggi.
(di Luisa Cotta Ramosino)