Dane si è da poco trasferito con la sua famiglia, composta da sua madre e dal fratellino dodicenne Lucas, da Brooklyn ad un paesino sperduto nella provincia americana. La vita nella piccola cittadina non è di certo emozionante, ma quando i due fratelli, in compagnia della loro vicina di casa, trovano una misteriosa botola in cantina, la situazione cambia. I tre ragazzi inizieranno ad essere disturbati da terrificanti allucinazioni che sembrano più vere della realtà. Per scacciare queste visioni, dovranno affrontare la profonda oscurità che si cela dentro la botola mettendo a rischio la propria vita.
A sei anni di distanza dal suo ultimo lungometraggio Looney Toones: back in action (ma con sulle spalle la direzione del bellissimo episodio Candidato maledetto della serie televisiva Masters of Horror), torna sul grande schermo il regista Joe Dante, e lo fa con The hole in 3D, film che ci catapulta inaspettatamente indietro di un ventennio, tornando a farci respirare l’aria dissacrante degli horror per ragazzi degli anni Ottanta. Pur con i dovuti accorgimenti per mantenersi al passo coi tempi infatti, The hole in 3D ripropone la stessa salsa di ironia mista a una sana paura (cinematografica più che metafisica) che fece il successo dello stesso Dante.
Partendo da una storia dal sapore surreale simile a molte puntate di Ai confini della realtà (di cui non a caso lo stesso Dante girò un episodio della versione cinematografica della serie), il regista gioca sin dall’inizio le sue carte, introducendoci con dinamismo nella storia, senza perdere troppo tempo in spiegazioni. Il film scorre senza troppe complicazioni, srotolandosi con facilità (ma non con didascalismo) nei meandri di una storia che, se all’apparenza può sembrare stupida, rivela in realtà il bisogno di raccontare qualcosa, oltre che far rabbrividire gli spettatori.
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Certo, qualcosa qua e là traballa, come qualche passaggio della sceneggiatura a firma di Mark L. Smith (Vacancy) oppure una regia non sempre pronta a sfruttare le potenzialità sceniche della botola (per non parlare poi dell’inutile 3D), ma in generale il film stupisce per la vivacità con cui Dante ripropone gli schemi classici del cinema horror, togliendogli quella patina di polvere che li ricopriva, per farli tornare così di nuovo moderni e funzionanti. Ne è un esempio lampante la lotta all’ultimo sangue tra Lucas e il pupazzo che lo terrorizza, scena complessa perchè potenzialmente ridicola e trash, ma resa spaventosa (ma anche terribilmente divertente) dal suo regista.
Joe Dante poi, il cinema per ragazzi lo sa fare, e anche bene. Allontanandosi dai canoni odierni del cinema per ragazzi, oramai diviso tra il musical bigotto disneyano e il fantasy senza troppe pretese ma con molti effetti speciali, Dante propone un film che non solo rappresenta i pre-adolescenti in maniera più veritiera del cinema mainstream di cui il film fa parte (senza aver paura di descrivere sottilmente l’attrazione fisica tra il protagonista maschile e la protagonista femminile, oppure di mettere in bocca qualche parolaccia ai suoi personaggi), ma si addentra in una morale esposta con semplicità ma profonda e non banale.
The hole in 3D ci fa riflettere sull’importanza di affrontare le nostre paure e il nostro passato usando come arma il nostro presente, ovvero ciò che siamo diventati crescendo. Ma ci fa anche riflettere sull’importanza di un cinema per ragazzi sempre meno vincolato dal buonismo ma più legato alle angosce e ai problemi dei ragazzi. E se poi il film è anche divertente, tanto meglio.