Avete presente quei bei filmoni action tipo The Bourne identity, Mission Impossible, Kill Bill?
Quelli dove i protagonisti sono degli assassini super cool, super tosti, super trendy; inguainati in pantaloni di pelle, evitano pallottole con un semplice movimento di bacino, calcolano in quattro millisecondi il numero di persone presenti in una stanza, conoscono il kungfu, il giugizu, larmeno e lebraico antico; riconoscono a colpo docchio se quella nel loro panino (gustato appesi ad una parete rocciosa con la sola forza del pensiero) è maionese normale o light.
Avete presente quando – dopo i titoli di coda – dite ok, magari non è Truffaut, non è Woody Allen (il nome dei primi due registi impegnati che vi saltano in mente, detti giusto per salvare le apparenze) però che figata?
Avete presente quando – colpa delladrenalina e di unesaltazione che non molla losso – passate la settimana successiva spulciando i siti della CIA e dellFBI per capire se avete qualche chance di diventare agenti in missione segreta in Russia?
Ecco, A-Team, non è uno di questi film.
Sabato pomeriggio mi aggiravo per una Milano meravigliosamente piovosa e gelida; arrivando da una mattinata dedicata alle faccende domestiche mi pareva necessario impegnare almeno un paio dore in unattività catartica; scartata lipotesi shopping selvaggio mi sono diretta verso il cinema più vicino.
Mi faccio tentare dal nuovo di Nia Vardalos e subitaneamente dissuadere dalla presa di coscienza che spenderei quei 7 euro solo perché sono innamorata John Corbett.
Cosaltro cè? Ma certo, lA-team! Il telefilm lo conosco praticamente a memoria; alle elementari avevo sviluppato una dipendenza per la santa trinità Baywatch, A-team, McGyver.
Sala 4. Ok, mi ci dirigo. Appena entrata però, iniziano i primi sospetti: sala minuscola, schermo che neanche quei nuovi computer mignon, fauna decisamente attempata. Ma come? Con tutto quel battage pubblicitario, il film d’avventura dell’anno di qua, sparatorie, esplosioni di là… mi aspettavo – come minimo – di ritrovarmi in un alveare di adolescenti con coltelli a serramanico e borchie a vista. Ho sbagliato sala, è evidente. Mi avvicino timidamente al gentile signore che mi trovo al fianco e domando delucidazioni in merito: "No, mia cara – risponde – si trova nel posto giusto".
Quel “mia cara” avrebbe dovuto spazzar via ogni dubbio residuo e farmi scappare a gambe levate; invece sono rimasta. Sono rimasta, e mi sono sorbita due ore di trama incomprensibile, protagonisti che di super cool, super tosto e super trendy non avevano nemmeno il packaging, effetti speciali innocui, soundtrack pessima e, a infiocchettare il tutto, una linea sentimentale (la “storia d’amore” tra quella bellona della Biel e Sberla) grossolana e mal riuscita.
È raro, per me, non riuscire a salvare nulla in un film; eppure, riguardo a questo, davvero non saprei cosa dirvi. È talmente casuale e maldestro che mi riesce difficile persino trovare elementi sui quali strutturare un sano e distruttivo j’accuse.
Imparate dai miei errori, liberatevi dei falsi pudori e scegliete John Corbett.