Cosa tiene insieme due persone tra rancori e meschinità, sino alla decadenza e alla morte? Michael Hoffman affronta questo dramma in The Last Station, il biopic sugli ultimi giorni di Lev Tolstoj, ispirato allomonimo romanzo di Jay Parini.

Tra boschi di betulle e tentati suicidi, il regista sposa abilmente il gusto russo del dramma radicale al ritmo sostenuto della narrazione occidentale. Dopo Un giorno, per caso e Sogno di una notte di mezza estate il suo tocco misurato ci restituisce un clima che, dietro a una sobria patina depoca, conserva intatta lintensità di conflitti e sentimenti.

A Mosca, nel 1910, Chertkov (Paul Giamatti) è linflessibile ideologo a capo del movimento dei tolstojani, una dottrina spirituale che predica uguaglianza, povertà e castità. Nel film il movimento ha tratti che oggi diremmo new age: una vaga utopia damore universale che insegue con cupo moralismo la perfezione umana.

Sorvegliato dalla polizia, Chertkov manda in sua vece il ventitreenne Valentin Bulgakov (James McAvoy) nella tenuta di Jasnaja Poljana, dove Tolstoj (Cristopher Plummer) vive con la moglie Sofja (Helen Mirren).

Lo scrittore sta per consegnare i diritti delle sue opere al popolo russo, al fine di diffondere il tolstoianesimo e realizzare il sogno di un mondo di pace. Valentin dovrà sorvegliare ogni atto di Sofja perchè nulla impedisca lutopia gloriosa e Tolstoj non venga persuaso a lasciare, come sarebbe naturale, i diritti alla famiglia.

Lo sguardo fresco e vergine di Valentin ci introduce nella comune tolstojana, una città ideale in cui ci si sforza di rendersi migliori. Qui il giovane si innamora della spregiudicata Masha che, insofferente alle ferree leggi del movimento, trova nel candore di Valentin quella purezza che era venuta a cercare invano presso i tolstojani.

Giunto alla tenuta, il ragazzo scopre un Tolstoj ottantenne vitale ma assediato dalla celebrità, imprigionato nel codice morale del suo movimento, ormai diventato più tolstojano di lui. Scopre anche lintimità inossidabile tra lo scrittore e Sofja, soffocati da spie e da giornalisti, da discordie ideali e gelosie. Ma uniti nel profondo.

PER CONTINUARE A LEGGERE LARTICOLO SU THE LAST STATION CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO

Testimone impacciato, Valentin assiste al degenerare della situazione, ai sotterfugi e alle menzogne di Chertkov, alla disperazione di Sofja e alla fuga di Tolstoj, diviso tra coerenza all’ideale e amore per la famiglia.

 

Il giovane rimane accanto allo scrittore sul letto di morte, quando presso la squallida stazione di Astapovo si consuma l’ultimo atto tragico di una vita e di un amore, l’esplodere di tutti i conflitti sotto gli occhi attenti della stampa e del popolo.

 

Come il romanzo di Parini il film si ispira ai diari di Sofja e, senza pretese di esattezza storica, eredita il punto di vista della moglie dello scrittore. Quello di Sofja é un meraviglioso ritratto di signora che ricorda a tratti il personaggio tolstojano di Anna Karenina, appassionata, possessiva, incline a crisi teatrali.

 

La donna, ironica e intelligente, di fronte alla ridicola adorazione dei discepoli, intuisce il pericolo d’idolatria: “ Voi credete che sia Cristo! Lui crede di essere Cristo!”. Quello di Sofja è uno sguardo intenerito che legge il marito, per tutti un santo vivente, sin nelle pieghe del suo meschino narcisismo. Proprio lei, che disprezza le chiacchiere tolsojane su “Dio, amore e uguaglianza”, è l’unica a conoscere, forte della quotidianità condivisa, i bisogni profondi dell’uomo che ama da 50 anni.

 

Viceversa il personaggio di Tolstoj appare immobile e lontano, imprigionato nel ruolo di divinità: capiamo soltanto che si interroga in silenzio sul significato di ciò che accade, misterioso e indecifrabile come una sfinge.

 

Al biopic si intreccia il romanzo di formazione di Valentin, che, col suo astratto ardore ideale incontra la contraddittorietà della vita e preferisce la realtà asimmetrica alla fredda perfezione dell’utopia. L’amore per Masha gli infonde il coraggio di squarciare il sogno fallace della Città Ideale. Ai sermoni di Chertkov circa l’amore universale risponde netto: “Non ho mai incontrato l’Umanità ma solo donne e uomini imperfetti”.

 

Senza pretese di essere un capolavoro, il film conquista con l’aderenza alla realtà nelle sue storture: la difficoltà dell’amore tra dedizione e brama di possesso, la fatica di essere uomini, non certo perfetti, ma desiderosi di verità e di bene.

 

PER GUARDARE IL TRAILER DI THE LAST STATION CLICCA IL PULSANTE >> QUI SOTTO

GUARDA IL TRAILER

 

Trailer fornito da Filmtrailer.com