Sabato sera si è chiuso a Roma il FictionFest, rassegna di scripted television italiana e non. Si è concluso con una cerimonia di premiazione che ha ben incarnato pregi e difetti della manifestazione nel suo complesso.

Tra gli addetti ai lavori, ci sono due modi per guardare allo stato della serialità televisiva in Italia. Il primo e più diffuso è la lamentela, occupazione che avrebbe anche una sua antica dignità letteraria se non fosse diventato nel tempo uno straziante sport nazionale. Il mantra è: “Poveri noi, noi tapini, fosse per noi produrremmo roba ben migliore della HBO, ma il destino cinico e baro ce lo impedisce”.

Il secondo è la realista presa d’atto che il pubblico chiave della fiction in Italia è ancora fatto di gente che è nata quando la tv non c’era o, alla meglio, è cresciuta con un solo canale; e anche quelli nati dopo, per la maggior parte, rimangono degli “analfabeti televisivi” (e, se ci pensate, ci sono insulti peggiori da rivolgere a una persona) – detto in un altro modo: il motivo per cui mia nonna non guarda Lost non è che Lost è troppo violento, o moralmente abbietto, o tematicamente distante; il motivo è che non capisce cosa succeda, non ha gli strumenti per leggerlo, parla una lingua che lei non conosce; il secondo modo di guardare allo status della fiction italiana, insomma, è porsi serenamente il problema di migliorarla a partire dai dati reali in cui noi tutti, volens aut nolens, ci troviamo.

Fa piacere notare che, nonostante il primo atteggiamento sia ovviamente il più semplice, la cifra del Roma FictionFest è stata la seconda. Certo, con tutte le piccole screpolature di un settore che è da anni in piena crisi creativa: ma è comunque un sollievo vedere che, come si dice, “il cuore è al posto giusto”.

E se è stato un po’ soporifero vedere la madrina della serata Veronica Pivetti distribuire 40 premi (non è un errore di battitura: 40), è pure vero che, grazie a questi, è stato dato spazio a cose non ovvie, come la metafisica serie polacca “Marked”, o la rivoluzionaria (e stupenda) serie lettone “Klass” – insomma, fiction di cui non avremmo davvero mai sentito parlare, senza il festival.

E se gli ospiti internazionali sono stati accolti con garbo e calore (Sayid di Lost, Catherine di CSI, Brandon di Beverly Hills 90210, Clarke di Beautiful, Claire Danes, Andy Garcia, ecc.) è pur vero che siamo lietamente scampati alla idolatrica genuflessione di fronte agli yankee che altri festival si vantano di proporre.

 

E se a far da spalla alla Pivetti c’era una delle swing band con meno swing nella storia delle swing band senza swing, dedicatasi con successo ad uccidere con una mannaia un’antologia dei temi televisivi più amati, è pur vero che la cerimonia è filata con un suo ritmo non eccessivamente retorico né compiaciuto, e chiunque sia stato ad un evento del genere in Italia sa che la cosa non è mai scontata.

E se è vero che, alla conferenza stampa di apertura del Festival, settimana scorsa, l’assenza della presidente Polverini aveva suscitato più d’un turbamento, data l’importanza della Regione Lazio nell’esistenza stessa della manifestazione, è anche vero che una settimana di delicata e paziente tessitura diplomatica ha infine portato la Polverini in sala, sabato sera, segnando la certezza di un futuro più sereno per il FictionFest.

E se è indubbio che le star italiane abbiano molto urgentemente bisogno di qualcuno che li aiuti a scrivere due righe di ringraziamento (se sento qualcun altro dire quanto sia "sorpreso e grato per questo premio" chiedo il porto d’armi) è pur vero che…  fatemi pensare… ok, questa volta non ho un contraltare positivo: soprassediamo…

Insomma, una serata leggera, non divertente ma nemmeno mortifera, sulla stessa linea di un settore, quello della fiction, che in Italia è molto più simile a un’enorme fiera dell’artigianato che a un’industria.

Per tutti, in realtà, la vera attesa della serata riposava sull’after party, ospitato in una degli spazi più cool di Testaccio, proseguito nella sua spumeggiante allegria ben oltre le 4 di mattina, dove lo star system nostrano e tutta la "piacioneria" che attorno vi orbita ha finalmente potuto esprimersi al meglio della sua ballerina e simpaticissima umanità. Ma qui, come un’eco di antica saggezza popolare, mi raggiunge la voce di mia nonna (sì, la stessa che non guarda Lost), che usava dirmi "se non hai niente di gentile da dire, non dire niente". Quindi questo pezzo finisce qui.

(Alvaro Rissa)