Lapproccio al documentario di Morgan Spurlock è del tutto empirico. Lo sanno bene gli spettatori che hanno visto il suo Super size me, dove il documentarista americano analizzava limpatto del junk food sulla popolazione americana (dai problemi di salute alleconomia), mangiando per un mese intero e per tre volte al giorno, nella catena di fast food più celebre del mondo: McDonalds.

Non si differenzia per spirito e risultato il secondo lavoro di Spurlock, Che fine ha fatto Osama Bin Laden?, che arriva in questi giorni in Italia (fuori tempo massimo?) dopo due anni dalla presentazione al Sundance Film Festival.

Il tutto nasce dalla preoccupazione di Spurlock che, una volta scoperto di dover diventare padre, inizia a pensare al futuro di suo figlio su questa terra. E come può un genitore dormire sonni tranquilli se il criminale più ricercato dellintero globo terracqueo è ancora a piede libero? Per questo Spurlock si mette sulle tracce di Osama Bin Laden, con il desiderio di catturarlo e consegnarlo alle forze di polizia.

Il tutto è naturalmente solo uno spunto comico per interrogarsi in realtà su cose più complesse e importanti, come le radici del terrorismo (ricordando lamicizia di vecchia data tra Bin Laden e gli States) o il vero volto degli abitanti di quei luoghi, spesso filtrati dallottica estremizzante dei media.

Insomma, il titolo è un semplice gioco, una provocazione, perché in realtà Che fine ha fatto Osama Bin Laden? fa passare quasi subito in secondo piano la fantomatica ricerca del talebano latitante, trasformandosi in un documentario alla ricerca delle radici del terrore.

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Nonostante la trasferta in Oriente infatti, Morgan Spurlock ci parla delle paure degli americani nate dopo l’undici settembre. Bin Laden non è un uomo con la barba, non è quella persona che lancia proclami da una grotta. Bin Laden è il nome che diamo al terrore, all’ignoranza, alla paura dell’altro. E quindi “Che fine ha fatto Osama Bin Laden?” è la ricerca implicita di quel fattore che ha trasformato radicalmente gli americani.

 

In completa controtendenza con l’ormai piagnucoloso Michael Moore, Spurlock mette in piedi un documentario divertente, a tratti grottesco e surreale (come tutta la sequenza dell’allenamento), che si ritaglia anche momenti di tensione che sfociano nella rabbia e nella violenza.

 

Spurlock dirige il documentario perfetto per spiegare al grande pubblico cause ed effetti del terrorismo, grazie a una semplicità schematica nell’esporre i concetti più complessi e a un senso dell’umorismo che alleggerisce un argomento complesso e articolato.

 

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Trailer fornito da Filmtrailer.com