Il Maestro e la pietra magica (Kniga Maestrov), kolossal fantasy realizzato dalla divisione russa della Disney, non è certo un capolavoro, ma segna una tendenza storica interessante. Nei titoli il cirillico emerge dalle cortine di nebbia del castello delle favole, per noi tutti sogno infantile made in Usa, e destabilizza gli adulti in sala, memori di ben altre cortine.
Ma è necessario aprire ai golosi mercati orientali, comè già successo per The Secret of the Magic Gourd in Cina, con quel pastiche di cultura locale e globalizzazione che attrae e spaventa allo stesso tempo. Così per Kniga Maesterov, girato da Vadim Sokolowski e russo sin nel midollo, dal cast, ai costumi, alla fiaba narrata.
Un kolossal difficilmente collocabile sul mercato italiano, per nulla pubblicizzato, relegato nelle sale più anguste, ingelosito dalle file di bambini con in mano il pupazzo di Woody e il biglietto per Toy Story 3.
Con costumi caricaturali e ipertradizionale voce narrante, va in scena la fiaba russa dellAlatyr, pietra fatata dagli arcani poteri. Baba Yaga, la mitica strega cannibale, ha una figlia dal cuore e dal viso gentile, che trova un giorno lAlatyr in un prato. La gemma la tramuta nella Contessa di Pietra, crudele regina del mondo minerale. Al suo servizio gli invincibili Artari, statue animate dalla magia.
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Ma la Contessa rischia di rimanere relegata nella sua torre se un Maestro Intagliatore non darà vita all’Alatyr, permettendole di dominare sul regno dei viventi. In un villaggio vicino, governato da un borioso padrone e dall’obesa e piagnona Klava, vive Ivan, figlio dell’ultimo Maestro Intagliatore, rapito e ucciso anni prima dalla Contessa.
Spetterà a Ivan ridare vita all’Alatyr per guadagnarsi l’amore di Katja, figlia adottiva della crudele sovrana, unico cuore umano costretto nella torre rocciosa. Braccato dalle guardie alcolizzate del villaggio, il ragazzo dovrà fuggire dal matrimonio con Klava e diventare Sommo Maestro Intagliatore.
Sulla strada, come in ogni fiaba, aiutanti mitologici e doni magici lo conducono al compimento del suo destino. Nel luminoso finale sarà la stessa umanità della spietata Contessa, cristallizzata in lacrime di diamante, a ridare al mondo il suo calore.
Per chi ama Propp, le fiabe russe, e l’arcano potere degli archetipi sarà desolante ritrovare la Rusalka (mitica sirena della morte) nei panni di una velina viziosa, l’immortale Koshei incarnato in un borchiato tamarro. Perchè usare le figure mitiche se poi si svuotano di aura e potenza, appiattendole ai ruoli prosaici del mondo contemporaneo?
Stessa sorte tocca agli aiutanti magici, lo specchio delle brame di Biancaneve diventa un cibernetico ologramma e una matassa interattiva si esprime con la voce meccanica di un navigatore satellitare. Il Maestro e la pietra magica corre il rischio dell’ibrido, informe e indeciso tra arcano e postmoderno, tra mito e parodia.
In particolare è l’incauto uso dell’ironia a cozzare col contesto ipertradizionale, destabilizzando lo spettatore che non sa decidere se trovarsi in una fiaba della nonna o in una moderna sceneggiata parodiante. Alcuni tra i quadri che si vorrebbero più divertenti risultano incomprensibili a chi è digiuno di cultura russa, come la parodia dei 33 cavalieri pushkiniani, il coro di prefiche o le perle di saggezza illuminista del padrone del villaggio.
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Tempi grigi per la Disney. Come un malato che si rigira nel letto il colosso statunitense dà l’idea di non aver ancora trovato la sua posizione, la risposta al postmoderno che incalza. Di fronte alla flessibilità intelligente della Pixar, che porta nelle sale generazioni inconciliabili, la Disney stenta ad abbandonare la gravità del suo pachidermico passato e trovare quella chiave per i cuori degli adulti, che ha cresciuto e poi perso. E non fa eccezione quest’esperimento d’oltreoceano.
Resta certo il fascino di una bella fiaba, ma l’impressione che l’avremmo preferita letta al chiaro del camino in una notte d’inverno. La potenza del mistero, della paura e della meraviglia, l’essenza del fiabesco, è annacquata e sbiadita. Le forze del male, lo splendore del bene, sono come addomesticati per essere più abbordabili. Ma così la magia non si manifesta, gli adulti non tornano bambini, e i bambini crescono in un mondo in cui tutto è già saputo, già scoperto.