Subito dopo aver fatto faville con Buffy l’ammazzavampiri, il destino per Joss Whedon non gli è stato certamente favorevole. Se lo spin-off Angel ha avuto un buon successo (non siamo ai livelli di Buffy ma la serie in questione è durata comunque cinque serie), lo stesso non si può dire di Firefly, interessante serie televisiva di fantascienza chiusa però dopo appena quindici episodi.
Lo stesso metodo che i dirigenti della Fox volevano usare con la nuova creatura di Whedon, Dollhouse, che dopo una prima stagione non troppo entusiasmante negli ascolti, aveva indotto la Fox a prendere la decisione di una chiusura anticipata. Non avevano fatto i conti con il nutrito (ma evidentemente non abbastanza) gruppo di fan della serie che, invocando a gran voce altri episodi, sono riusciti a convincere la Fox a mettere in cantiere la seconda e ultima serie di uno dei prodotti televisivi più interessanti e narrativamente complesso degli ultimi anni.
Non è semplice riassumere in poche righe l’intricata vicenda che si svela di episodio in episodio (ma sarebbe meglio dire di personalità in personalità), come non è semplice riuscire ad entrare, almeno all’inizio, nel meccanismo narrativo della serie, la quale vede protagonista una giovane ragazza di nome Echo che ha deciso di dare cinque anni della sua vita alla Dollhouse, misteriosa istituzione che, una volta svuotati i cervelli dei suoi dipendenti, li riempie di personalità costruite in laboratorio e capaci quindi di soddisfare sogni e bisogni dei loro clienti miliardari. Echo è killer spietato, moglie affettuosa, tenace mediatrice, sensuale prostituta, ma Echo è anche speciale e sarà proprio lei a smontare il sistema malato della Dollhouse.
Dollhouse è una serie complessa, non bisogna nasconderlo. Dietro l’apparente facciata sci-fi classico, la serie nasconde un meccanismo narrativo non immediato, dove il personaggio protagonista (la bella Echo interpretata da Eliza Dushku) non è semplicemente un personaggio schizofrenico diviso tra due personalità, ma un contenitore vero e proprio di personalità. Il risultato è che ci vuole del tempo per amare Echo, per capirla, per entrare in contatto con lei e con il suo mondo.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO, CLICCA SUL SIMBOLO >> QUI SOTTO
Aiuta in questo senso una storia che fa venire a galla poco per volta le piccole verità che compongono il fitto mosaico della serie, le cui vere potenzialità sono tutte espresse in questa seconda serie, praticamente perfetta nel trarre le conclusioni di discorso ampio e complicato, non solo fornendo una conclusione che non scontenta nessuno in termini narrativi, ma chiudendo tutti i percorsi tematici aperti, rispondendo così in maniera definitiva all’annosa questione che percorre come un virus tutta questa seconda serie: quando l’uomo deve fermare i progressi della scienza prima che le sue stesse scoperte possano causare la sua scomparsa?
Interrogativi importanti, esposti in maniera chiara in una cornice dove l’azione, la sensualità delle protagoniste e l’intreccio della trama ne fanno da padrona. Interrogativi che coinvolgono, ancora una volta fede e scienza (per fare un parallelo con un’altra grande serie, Lost), umanità e tecnologia, impulsi elettronici ed emozioni. È questo Dollhouse, il racconto di un’umanità che non vuole più essere macchina e robot, ma vuole tornare a percepire, a sentire, ad essere libera.
La sensazione che si respira dopo l’ultimo bellissimo episodio di Dollhouse (che va ad unirsi cronologicamente al finale della prima stagione) è che un’altra manciata di episodi avrebbero giovato a rendere questa seconda stagione un po’ meno sincopata e ricca di eventi, magari con la possibilità di esplorare in maniera più approfondita il futuro apocalittico in cui saremo catapultati. Ma queste sono le congetture di un fan, nulla di più. Dollhouse si conclude a meraviglia con un finale lontano dalle banalità emotive e narrative che difficilmente scontenterà chi questa serie l’ha amata, forse per troppo poco tempo.