Dopo averci svelato, in Cube, il mostro cannibale che cova in ciascun uomo, Vincenzo Natali si chiede cosa succederebbe se questo stesso uomo contaminato, varcando ogni limite, si ergesse a creatore.

Così nasce Splice che, ancor prima che horror fantascientifico, è tragedia intessuta di archetipi antichi, echi dellapertura mitologica del vaso di Pandora, della creazione del Golem distruttore per opera del rabbino superbo.

Elsa (Sarah Polley) e Clive (Adrien Brody) sono una giovane coppia innamorata che, per professione, crea mostri. Incrociano genomi di specie diverse per ottenere ibridi che arrechino benefici allumanità e milioni alla Newsted, gigante farmaceutico per cui lavorano.

Come genitori in visibilio filmano i primi passi di Ginger e Fred, due ammassi di carne squittenti creati per isolarne un gene plurimilionario. Ma Elsa é irrequieta, non si accontenta di una banale operazione di mercato, è tentata dal genoma umano, dalle infinite possibilità curative che si avrebbero incrociandolo con altri tipi genetici.

In realtà, capiremo, i suoi scopi inconsci sono tuttaltro che scientifici, cova nel suo cuore il desiderio malsano di una maternità diversa, controllabile, viziata da un rancore cieco per la madre violenta.

Inizia così un gioco biblico, un calco di Adamo ed Eva, in cui la donna tenta luomo cedevole a superare i limiti di natura. Incrociando più genomi animali a quello umano, i coniugi ottengono Dren, una chimera fornita di pungiglione velenoso, ali e branchie.

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Un volto ambiguo, dalle inquietanti sembianze umane, un corpo informe e conturbante (modellato sull’androgina Delphine Cheneàc) che diventa oggetto di amore genitoriale, di sperimentazione scientifica, di fascinazione sessuale. Un vortice di violenza e perversione di sapore cronenbergiano che trascina, tra attrazione e repulsione, i due scienziati.

 

Il primo indizio della sciagura è la sequenza splatter in cui Ginger e Fred, esposti in una teca a un convegno scientifico, si fanno a pezzi reciprocamente. I mostri hanno cambiato sesso senza che nessuno se ne sia accorto. Come dire che il controllo umano è illusorio, che “i miracoli” (i due chiamano così i loro mostri) si beffano delle previsioni.

 

Dren, rinchiusa in un fienile, cresce e invecchia a un ritmo frenetico, imita movenze e comportamenti umani, viene truccata da Elsa, balla con Clive e lo seduce. Porta a galla i conflitti sopiti della coppia, il mostro che cova nei coniugi, le paranoie latenti di Elsa, ossessionata dall’infanzia offesa e combattuta tra l’attaccamento più selvaggio e l’odio più crudele nei confronti di Dren.

 

Il film scade nel finale in horror grezzo, con sequenze gratuite da B-movie di cui la storia non sentiva il bisogno. Si comprende l’intento di allestire una distruzione parabolica, un massacro che incarni la ribellione cieca della natura manipolata e offesa. Ma si sarebbe preferita una nota più sottilmente inquietante, come gli occhi inespressivi di Elsa che, nell’ultima sequenza, ci suggeriscono che il peggio deve ancora venire, che l’abisso dell’animo umano guiderà il progresso verso perversioni non ancora immaginabili.

 

I conflitti psicologici dei protagonisti sbeffeggiano l’ideale illuminista dello scienziato obiettivo e neutrale, che ha il controllo della situazione. L’uomo è un garbuglio incomprensibile a se stesso che diventa ridicolo e pericoloso quando pretende di esaurire la realtà e crearla a sua immagine.

 

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La sconfitta di Clive ed Elsa non appartiene solo alla scienza, ma è antica quanto il desiderio creaturale di diventare creatore. Nel massacro che chiude il film riecheggia il fallimento dei superbi, la caduta di Bellerofonte, lo sbaraglio dell’Ulisse dantesco. La differenza sta solo nella nobiltà dei fini scientifici che mascherano di filantropia la violenza e la sciagura, come nel mito del buon Prometeo che voleva portare il fuoco agli uomini e ne decretò la perdizione.

 

Splice vive sulle spalle di tutti questi echi mitologici e letterari senza mai riuscire a restituire appieno la profondità dell’antico dilemma che porta in scena.