Uneroina coraggiosa e romantica, che vola da una parte allaltra del mondo sfoderando abilità da combattente; un mistero da scoprire; sfide continue; ritmo e tensione che non calano mai. Sembra un videogame, invece è un film. O una serie tv.
La contaminazione tra gioco e prodotti per lo schermo è da tempo familiare agli americani ed è stata proposta nei film come nelle serie televisive, che oltreoceano godono di pari dignità: perciò non cè da stupirsi se il creatore di Titanic, James Cameron, nel 2000 ha firmato anche il telefilm Dark Angel, uno dei più innovativi di quegli anni. E nemmeno se JJ Abrams, dopo aver diretto – nello stesso periodo – la serie Tv Alias, è passato dietro la macchina da presa per Mission Impossible 3.
Alias e Dark Angel sono stati i primi a sfruttare il modello del videogame sul piccolo schermo, conquistando lattenzione del pubblico per loriginalità del prodotto. Il collage di luoghi esotici o dark, latmosfera futurista, la protagonista super-eroina che ricorda un po Lara Croft di Tomb Raider (film tratto da un videogame, appunto), la trama densa di mistero e la presenza di oggetti magici richiamano lidea del gioco e, infatti, questi prodotti hanno fatto presa soprattutto sul pubblico maschile e sui giovani, avvezzi alla velocità del videogioco e alle sfide a base di action e battaglie surreali.
Se Alias combina mitologia antica e minacce terroristiche moderne, Dark Angel dipinge un cupo scenario post-atomico che fa da teatro a esperimenti genetici; entrambe le serie hanno in comune una protagonista femminile (Jennifer Garner e Jessica Alba) in grado di dare corpo e sentimento alla storia, e una lettura a più livelli che soddisfa le richieste del pubblico più esigente. La tecnica del videogame è lelemento di novità, di innovazione, che non eclissa però la necessaria profondità della storia, evitando lerrore in cui sono invece caduti molti moviegames: lassenza di emozioni e verità.
Il cinema, infatti, è abituato da più tempo alla partership con i videogiochi, ma i risultati non sempre sono stati gloriosi: anzi, per la verità, critica e pubblico hanno stroncato i vari Mortal Kombat, Street Fighter, Final Fantasy perché – a differenza delle serie tv – nei film il modello del videogame è stato preso un po troppo alla lettera.
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Gli appassionati del gioco protestano per la trama non all’altezza, il resto del pubblico si ritrova frastornato da lotte ed effetti speciali senza provare la minima emozione. Budget stellare ed effetti speciali non bastano a conquistare il pubblico, che si accorge quando sotto la superficie non c’è nulla e, nel buio della sala, cade addormentato o rimpiange il momento in cui ha comprato il biglietto.
L’impresa di evitare questo tranello è riuscita a Simon West con Tomb Raider, in cui la storia avventurosa è condita con ironia e un pizzico di romanticismo: centrata sulla ricerca di un prezioso manufatto che dà al possessore la facoltà di controllare il tempo, la trama si distacca totalmente dal gioco, arricchendosi di mistero e suspense, e la scelta di Angelina Jolie nei panni della protagonista (l’intrepida e ironica Lara Croft) si è rivelata una scelta vincente.
Sul solco tracciato da West, di recente si è inserito con eleganza il regista Mike Newell, che ha diretto Prince of Persia: un film di tutto rispetto in grado di intrattenere, coinvolgere e divertire, puntando sul fascino del deserto e dei principi ma senza trascurare il potere di una bella storia. Tratto dall’omonimo gioco, a dispetto di un iniziale scetticismo il film si rivela un interessante mix di azione, spettacolo e romanticismo, con un affondo in tematiche attuali e spinose.
La storia del principe Dastan, orfanello di strada adottato dal re persiano, è la classica parabola del ragazzo qualunque che diventa principe (vedi la saga di Aladdin firmata Disney) affrontando ostacoli che lo spingono a maturare e diventare un leader, imparando a distinguere bene (l’amore fraterno) e male (la sete di potere dello zio), confrontandosi con l’amore (la principessa Tamina) e con la guerra.
Anche qui come in Tomb Raider, la storia ruota intorno a un oggetto misterioso, il pugnale delle Sabbie del Tempo, in grado di riavvolgere la linea temporale e, dunque, cambiare il corso degli eventi. Ultimamente, l’idea di controllare il tempo è diventata un leit motif di cinema e Tv (basti pensare ai viaggi temporali di Lost e alle visioni sul futuro di Flash Forward): il desiderio di tornare indietro e cambiare le cose è uno dei desideri più viscerali dell’uomo e le storie che sfruttano questo tema puntano su un nucleo tematico forte, lungi dall’esaurirsi o risolversi con facilità.
D’altro canto, i videogame giocano con il tempo: le storie sono sempre ambientate in un mitico passato o un tecnologico futuro e, di solito, la velocità è la chiave per superare i livelli e vincere la partita. La ricetta vincente per lo schermo, però, è la combinazione di elementi moderni con il classico, eterno e imprescindibile ingrediente della narrazione: insomma, il gioco funziona meglio quando alla base c’è una bella storia.