A guardare Inception, lultima fatica del regista e sceneggiatore Christopher Nolan, viene subito da chiedersi se il mondo del cinema non abbia finalmente trovato il nuovo Spielberg o, perlomeno, se abbia fatto in via definitiva un upgrade ai blockbuster movie, con una consapevolezza e una forza autoriale che solo Nolan poteva portare nel cinema dintrattenimento.

Sinora la filmografia del regista americano viaggiava su due binari ben distinti: uno era quello del blockbuster, impersonificato in tutto e per tutto dalla figura oscura di Batman, che Nolan ha saputo riportare al successo cinematografico con due capitoli estremamente dark (nellimmagine e dellanima). Laltro binario era una strada più personale, fatta di film che, col pretesto del thriller, arrivavano a parlare di tuttaltro, soprattutto dellanima, dipinta e raccontata dal regista come un abisso temporale (Memento) o come una realtà falsata continuamente dallillusione (The prestige).

E non cè nemmeno tanto da discutere, perché Inception è il suo film migliore, vista lindubbia capacità di coniugare le sue due anime, quella personale e quella per il grande pubblico. Il risultato è un blockbuster che si trasforma con grazia in un film dautore, senza snaturare la sua natura da entertainer. Un intrattenimento però, in netta controtendenza rispetto ai canoni spielberghiani, perché Nolan conosce il pubblico e non lo tratta come un bambino stupido cui tutto va spiegato: la sceneggiatura di Inception è un meccanismo complesso ma coerente, capace di intrattenere lo spettatore, di farlo continuamente pensare e riflettere durante la visione (sul meccanismo narrativo e sui temi), catturarlo in un vortice narrativo che si fa veicolo emotivo per amplificare ulteriormente il significato della storia, sempre basata sul binomio realtà e finzione, questa volta concentrandosi specificatamente sul mondo dei sogni.

Dom Cobb ha uno strano lavoro: si inserisce nei sogni delle persone e ruba loro idee e segreti durante il sonno, il momento in cui il cervello è più vulnerabile. Il suo lavoro non è legale, così come non è legale la sua presenza negli Stati Uniti, a causa dellaccusa di omicidio della moglie. Per cancellare dalla sua fedina penale questa accusa, Dom accetta il lavoro propostogli da un magnate dellenergia, ovvero di impiantare unidea a una persona, invece che estrarla.

Se negli anni Ottanta linterrogativo del detective Deckard era quello del suo essere umano o un cyborg, nel nuovo millennio il dilemma è diventato: viviamo in un sogno o è la realtà? Citando apertamente Blade runner (ma permettendosi anche una timida ma significativa citazione a 2001: odissea nello spazio), Nolan costruisce un film dallarchitettura complessa, dove la fantascienza è solo un pretesto per raccontare la storia di un uomo eroso dal senso di colpa, incapace di rielaborare la morte della moglie e di superare linfinito dolore della sua dipartita.

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È vero che Inception è uno dei film visivamente più originali degli ultimi dieci anni (basti prendere ad esempio la sequenza nell’ascensore, capace di superare l’alto gradino del bullet time di Matrix), ma quello che davvero conquista è la storia tutta umana di Dom Cobb (interpretato da un bravo Leonardo Di Caprio), trasfigurata (senza tralasciare il dolore) all’interno del blockbuster migliore dell’anno (alla faccia di Cameron e del suo Avatar).

 

C’è poi un aspetto che può forse passare in secondo piano a causa dell’intricata costruzione delle vicende, ovvero la genesi di uno degli antagonisti più originali della storia del cinema, ovvero Mal, la moglie di Cobb. Grazie anche alla bilanciata interpretazione dell’attrice francese Marion Cotillard, Mal acquista con l’avanzare del film, una serie di sfumature minime, delicate, capaci di rendere il personaggio di una complessità affascinante e perturbante.

 

Da appuntarsi anche la splendida colonna sonora di Hans Zimmer che, con molta probabilità, vedremo tra qualche mese nominata agli Oscar. Il cinema di Nolan è un cinema fatto di corti circuiti e Inception ne è la potente dimostrazione.