Una società invasa dalle informazioni e bersagliata di input, ma sempre più incapace di orientarsi nelloceano comunicativo moderno. Alberto Contri, presidente della Fondazione Pubblicità Progresso e di recente dottore honoris causa in Scienze della Comunicazione alluniversità Iulm di Milano, traccia unanalisi dettagliata del futuro dei media e della loro fruizione.
Cominciamo proprio dai giovani, perché si parla tanto di generazioni disperse per descrivere i ragazzi di oggi?
Perché sono figli di Internet, la più grande rivoluzione del secolo scorso, ma anche un fenomeno di dispersione. Non è un caso che i giovani di oggi non siano più capaci di concentrarsi. La rete è multilivello, multipurpose, multitasking, ma è pensata per il computer, non per il cervello umano. Un motore di ricerca ci riempie di contenuti con un semplice clic. Ma concentrarsi è difficile con così tanto rumore attorno. Così i ragazzi sono continuamente stimolati da informazioni, ma non sono in grado di metterne a fuoco alcuna. Io, e altri prima di me, abbiamo chiamato costante attenzione parziale lo stato in cui oggi ci troviamo. La velocità del mondo attuale e la valanga di messaggi che ci sommerge non ci consente mai di fermarci a pensare per davvero a un concetto. I ragazzi devono invece imparare a riconsiderare il loro tempo e tornare a concentrarsi sugli aspetti singoli. Altrimenti avranno una conoscenza frammentata della realtà.
I sostenitori del web obietteranno che è grazie a Internet se oggi posso sapere in pochi secondi chi era Vercingetorige o cosa sta succedendo in questo momento a Tokyo
Certo, ma siamo sicuri che tutta questa informazione sia un bene? Potrebbe anche essere un disastro. Tutte queste informazioni, senza un approfondimento, rischiano anzi di essere inutili o peggio dannose. Il problema è che per fare davvero approfondimento, anche in Internet, bisogna sopportarne i costi. Ecco perché io non ho mai condiviso laccesso gratuito ai siti dei quotidiani on line, per esempio. Perché così sono costretto a non dare approfondimento a chi mi legge, ma solo moltissimi frammenti di ciò che succede nel mondo.
Dunque linformation overload confonderà solamente le nuove generazioni?
Se non si insegnerà loro come selezionare le fonti sì. Ora come ora non sono molto ottimista. I nostri giovani non sanno più discernere. La colpa è soprattutto della scuola, che non sviluppa il senso critico degli studenti. Alle elementari non si fanno più i riassunti e il risultato è che all’università il 90% dei ragazzi non sa articolare un discorso. Bisognerebbe recuperare il latino e fare meno esami a crocette, perché i giovani devono imparare cosa è il linguaggio. Se il tuo linguaggio è corrotto, ne deriva che anche la tua relazione con la realtà è corrotta.
Lei è un esperto di pubblicità. Come si può comunicare ancora un messaggio in questo mare di informazioni?
Sicuramente oggi le cose diventano più difficili per chi fa questo mestiere. Io credo che nel momento in cui aumentano le opzioni (e cioè non c’è più un broadcasting a cui tutti fanno riferimento), l’unica soluzione è cercare di comunicare integralmente. La prima fase richiede lo studio di un pensiero, mentre nella seconda devo capire i mille modi in cui posso declinarlo.
Facciamo un esempio concreto…
Partiamo dal dire che è economicamente impossibile coprire tutti i media esistenti. Così come focalizzare dei cluster precisi è diventato molto più complesso, quasi utopistico. Il segreto sta nel provocare una reazione a catena. Vediamo cosa ha fatto la Old Spice, nota marca americana di deodoranti. All’inizio la campagna è partita nel modo più convenzionale possibile: l’azienda si è affidata a un testimonial (in questo caso Ray Lewis, un campione di football della Nfl) e ha confezionato uno spot. Poi lo ha divulgato, usando anche i social network e raccogliendo i commenti degli utenti. Qui è nata l’idea geniale: i commenti sono stati selezionati e fatti interpretare dall’atleta in centinaia di spot personalizzati e realizzati in tre giorni di riprese.
Così io, Marco Guidi, posso vedere Ray Lewis camminare sulla luna come avevo scritto nel mio commento di Facebook…
Esatto. E il contenuto finisce su Youtube, sotto il tuo nome. Si innesca così una reazione a catena. Perché anche i tuoi amici vogliono uno sketch personalizzato e via dicendo. Da qui nascono poi i fake, “i falsi” che fanno comunque pubblicità. E la Old Spice ha ottenuto ciò che si prefissava, aumentando le vendite del 100% in pochi mesi. Tutto perché è riuscita a mettere in moto una reazione a catena. Partendo sì da un concetto di spot antico, ma declinato con la cosiddetta viralità consentita dai media del presente.
Questa è la nuova frontiera della pubblicità?
Sì, ma non solo. Il brand entertainment, per esempio, è un’altra invenzione del nostro tempo. Le aziende smettono di far pubblicità sui canali televisivi, ma producono in proprio web series. Lo sta facendo l’Ikea, che con una fiction autoprodotta a bassissimo costo sta ottenendo grandi risultati. Addirittura le aziende (e ce ne sono ben 230 che hanno preso questa strada, tra cui la Loreal) regalano in giro queste serie ai siti, garantendosi una quantità di ascolti enorme. E allo stesso tempo portando anche al sito ospitante una moltitudine di contatti.
Così però le agenzie pubblicitarie diventano inutili…
Se non si svegliano sì. Perché basterà che un produttore, anche ignoto, vada da un’azienda proponendo una serie di sketch per fare pubblicità. Insomma, i creativi e i pubblicitari devono proporre queste soluzioni e anche in fretta, altrimenti rischiano di sparire. Ma è giusto che sia così: nella comunicazione l’essere conservatori non paga. Anzi, porta alla morte.
(Marco Guidi)