La puntata di Un Giorno in Pretura è dedicata all’omicidio di Diouf Cheikh, un senegalese che lavorava a Civitavecchia. L’imputato è l’Ispettore di Polizia Salvatore Morra. L’omicidio e’ avvenuto il 31 gennaio del 2009. L’imputato apre il processo, tenuto in corte d’Assise a Roma, e presieduto dalla Dott.ssa Belinda Canale, con una dichiarazione spontanea. Il Morra esprime il proprio rammarico ed il proprio dolore per l’accaduto; in aula sono presenti alcuni esponenti della comunità senegalese di Civitavecchia. Il ragazzo era un onesto lavoratore ed era integrato perfettamente nella vita cittadina. Diouf viveva in periferia di Civitavecchia in una località detta Campo dell’oro, in un’abitazione chiusa da un cancello. Nella stessa abitazione c’erano altri due connazionali. In un’abitazione vicina abitava Salvatore Morra. Alle 8:15 della mattina di quel giorno arriva una telefonata alla Stazione di Polizia da parte del Morra che segnala una lite in corso nel vicinato. Dopo un minuto arriva una seconda telefonata in cui il Morra sollecita l’arrivo di una volante. Dopo poco l’ispettore chiama di nuovo chiedendo un’ambulanza, dicendo che aveva sparato ad una persona. Diouf era rimasto a terra ferito, poco al di sotto dell’inguine. Pare che il Morra fosse tornato a casa sua per prendere una corda che potesse fermare l’emorragia alla gamba. Uno dei due senegalesi interviene con una cintura. Purtroppo, il colpo aveva reciso l’arteria femorale ed i soccorsi non riescono a salvare Diouf. L’ispettore aveva sparato con un fucile a pompa, che non era un’arma in dotazione alla polizia, e apparentemente senza un motivo. Il primo sparo aveva colpito la parte sottostante la finestra dell’abitazione della vittima, il secondo, invece aveva colpito la vittima alla gamba. Gli uomini della Scientifica, sopraggiunti sul luogo dell’omicidio sono costretti ad entrare nell’abitazione della vittima dalla finestra, perchè le altre porte erano chiuse a chiave. In camera da letto le luci erano accese. L’imputato dichiara che, mentre il figlio si trovava fuori casa ad accudire i cani, aveva sentito delle grida strazianti provenire da fuori ed aveva chiamato la polizia. Dal momento che queste urla continuavano e sembrano quelle di una persona in pericolo di vita, era corso fuori, imbracciando il fucile. Aveva aperto il cancello ed aveva individuato la provenienza delle urla dalla finestra. In quel momento aveva visto la sagoma di un ragazzo, probabilmente di colore che indossava dei jeans, fuggire nella campagna. Le urla erano continuate, così lui aveva intimato più volte: “Polizia, vieni fuori!”, poi aveva esploso un primo colpo di fucile contro la parte bassa della finestra a scopo di intimidazione. Avvicinandosi aveva visto all’interno della casa Diouf con la schiuma alla bocca gli aveva ripetuto di venire fuori, e lui era saltato dalla finestra venendogli quasi addosso. Il secondo colpo era stato esploso, quindi, quasi senza volere, in direzione bassa. Il Morra descrive i fatti come se si fosse trattato di un’operazione di polizia finita in disgrazia. Ci sono però da ascoltare alcuni testimoni. Per primi i due senegalesi, vicini di casa della vittima. Le divergenze principali tra queste testimonianze e quella del Morra sono relative a due punti. il primo è che secondo i senegalesi Diouf sarebbe uscito lentamente dalla finestra, secondo il Morra come una furia. Il secondo è relativo al tempo che sarebbe passato tra i due spari: secondo i senegalesi dal primo al secondo colpo sarebbero passati diversi secondi, secondo l’ispettore i due colpi sarebbero stati più ravvicinati. Il terzo testimone è il figlio dell’imputato, che conferma completamente la testimonianza del padre. Il Morra dichiara che, secondo la sua esperienza ventennale in polizia, chiunque se minacciato da un’arma si mette per terra, Diouf, invece, gli era venuto addosso. Il senegalese aveva avuto una condanna perchè aveva aggredito un poliziotto penitenziario durante una visita al pronto soccorso. Diouf, in verità non non stava molto bene, anche secondo la testimonianza del cugino. Nell’estate del 2004 pensava di aver contratto l’AIDS, ma poi gli era stata diagnostica l’epatite B. Il medico curante gli aveva fatto seguire una cura con l’interferone, ma lui aveva manifestato episodi di agitazione e, quindi, l’aveva sospesa. Inoltre, i parenti si erano più volte rivolti al Centro di Salute Mentale perchè aveva delle crisi di dissociazione e diventava aggressivo anche verso i fratelli. Seguono alcune testimonianze dei colleghi dell’ispettore che lo descrivono come una persona estremamente generosa verso gli altri. I senegalesi, invece, lo dipingono come una persona dispotica, che aveva minacciato altre volte di sparargli. 



La difesa scava nella vita del Morra: era stato adottato all’età di 18 mesi ed era stato educato da un padre molto rigido. Poco prima dei fatti la sua vita era stata sconvolta da diversi episodi, tra cui la morte del fratellastro per droga, un trasferimento che lo aveva costretto a svolgere esclusivamente lavoro di ufficio, il suicidio di un nipote, e la perdita di circa 250.000 euro. La perizia psichiatrica indica un disturbo di personalità, per cui era parzialmente incapace di intendere e volere. Il pubblico Ministero chiede una condanna per omicidio volontario a 14 anni e 6 in casa di cura. La Difesa chiede le attenuanti generiche. La sentenza lo condanna a 10 anni con 3 in casa di cura, poi in Appello ridotti a 6 di reclusione di cui 3 in casa di cura.

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