Dopo aver tratto sceneggiature dalla gran parte del patrimonio letterario esistente, allindustria cinematografica statunitense non resta che ricominciare il giro da capo. Arriva così sugli schermi una nuova trasposizione dellallora scandaloso Jane Eyre di Charlotte Bronte, per mano del poco più che trentenne Cary Fukunaga, premiato al Sundance 2009 per lopera prima Sin nombre. Con questo film arriva a quota 28 il numero degli adattamenti cinematografici e televisivi del romanzo di maggior successo della scrittrice inglese, lultimo dei quali diretto nel 1996 da Franco Zeffirelli. Una cifra impressionante, segno (oltre che della scarsità di idee nuove) di quanta modernità ci sia nelleroina della Bronte e nelle tematiche sollevate dalle sue (dis)avventure.

Se le premesse facevano pensare a un rifacimento in chiave gotica e a tinte forti, scelta ormai abusata, ma che poteva avere un senso dal punto di vista commerciale, ci si rende presto conto che non è così; anzi, la cifra distintiva scelta da regista e sceneggiatrice è la fedeltà assoluta al manoscritto, difficilmente raggiunta a tali livelli nei precedenti adattamenti, unita allestrema cura dei dettagli. Una scelta potenzialmente suicida per il botteghino, ma proprio per questo allo stesso tempo apprezzabile.

Con una ricostruzione elegante e accurata rivive la vita della coraggiosa Jane, bambina orfana maltrattata dalla zia crudele e rinchiusa in un collegio, poi da adolescente istitutrice presso la tenuta del cupo Edward Rochester, con il quale vivrà un sentimento tormentato, sul quale incombe un terribile segreto delluomo. La volontà di rifarsi fedelmente al romanzo è evidente fin dalla scelta di Mia Wasikowska, già Alice per Tim Burton, ormai sempre più sulla cresta dellonda. La ventiduenne australiana è probabilmente la Jane più facilmente accostabile a quella nata dalla penna della Bronte, tra quelle rivissute finora sullo schermo, prima di tutto per età e connotati fisici, ma anche per un lavoro eseguito con sensibilità che lha fatta entrare completamente nella pelle della protagonista, perennemente combattuta tra ciò che ritiene sia giusto e ciò verso cui il suo cuore e i suoi sensi la spingono, umile e pura, fragile ma allo stesso tempo determinata e gelosa della sua indipendenza, quasi unantesignana del femminismo moderno.

La Wasikowska dimostra di avere tutte le carte giuste per conferire alla sua Jane lo spessore necessario, in bilico tra ingenuità e maturità precoce. I panni del controverso Rochester sono vestiti alla perfezione dall’acclamatissimo Michael Fassbender, fresco vincitore della Colpa Volpi al Festival di Venezia per Shame di Steve McQueen. Judi Dench (Miss Fairfax), Jamie Bell (St.John), e Sally Hawkins (Mrs Reed) completano il sontuoso cast.

Nessuna ruffianeria per accaparrarsi il pubblico più giovane, ma tanto romanticismo, ambientazioni suggestive e una messa in scena a momenti quasi teatrale. I temi trattati sono universali e perlopiù tipici del romanzo di formazione, ma la storia d’amore tra Jane e Rochester è decisamente d’altri tempi, una passione repressa fino all’ultimo per ragioni morali e sociali, stroncata proprio quando è sul punto di esplodere. Jane Eyre è un lavoro indubbiamente ben confezionato, ma un’operazione del genere sarà ancora appetibile per il pubblico di oggi? Al box office l’ardua sentenza.