Un protagonista il cui nome non viene mai pronunciato e che non muove le labbra per parlare nei primi dieci minuti del film, dove però impera sulla scena, dovrebbe far già capire che Drive non è una semplice pellicola di azione o un thriller. La sceneggiatura di Hossein Amini, tratta dallomonimo libro di James Sallis, porta lautista a dire le sue prime parole a favore di camera incontrando in ascensore la sua nuova vicina Irene. Una semplice battuta di circostanza, una cosa che può capitare tutti i giorni in una città come Los Angeles. Ma i due si rivedono ancora: merito o colpa – dipende dai punti di vista – dellauto della donna che resta in panne e del fatto che luomo lavora come meccanico in unofficina. A gestirla è Shannon, rimasto zoppo per un affare andato a male con alcuni criminali italo-americani con cui ha ancora rapporti.
Shannon sa che il suo meccanico non è una persona qualunque, non è capace solo di aggiustare motori, non è solo uno stuntman che lavora a Hollywood, ma ha un talento: basta metterlo al volante di unauto per essere certi che nessuno riuscirà a raggiungerlo. Un talento che vorrebbe portare su una pista di Nascar, forse anche per dare una possibilità di riscatto al ragazzo. Già, perché il protagonista ha un lato oscuro: si fa ingaggiare come autista da rapinatori in cerca di una fuga veloce. Cinque minuti, non uno di più, e poi ognuno per la sua strada.
Il rapporto con Irene e suo figlio Benicio comincia a coinvolgere lautista, finché dal carcere non torna in libertà Standard Gabriel, il marito della donna. Un imprevisto che scombina le carte, un dolore difficile da affrontare. Del resto, quando un pilota corre in auto, quando una curva veloce sposta troppo in fretta il carico sullesterno, quando unaccelerazione fa scodare, si mette in conto maggior adrenalina, forse un grosso spavento o, nel caso di un ribaltamento non grave, qualche osso rotto. Ma se di mezzo cè il cuore e una storia che non si può controllare, aumenta il rischio che il dolore non passi confidandosi silenziosamente con una muta valvola a farfalla o facendo buon viso a cattivo gioco. Però, al cuor non si comanda e si può anche scegliere di aiutare il proprio rivale finito in seri guai, se ciò significa proteggere la vita della persona che si ama.
Ma da qui il film sembra diventare un altro. Il regista Nicolas Winding Refn comincia a portare sangue e violenza in un cruento crescendo. Anche quando in un intenso rallenty arriva il suggello dell’unico bacio che il protagonista e Irene riescono a scambiarsi. Per l’autista arriva anche il momento di uccidere, quasi che si trasformi in un vendicatore “motorizzato”, come succede in Ghost Rider a Nicolas Cage (già visto peraltro all’opera in furti di macchine nel film Fuori in 60 secondi). Intensi i primi piani, specie nel duello finale, quasi come accadeva ai pistoleri di un classico western (meglio se con Clint Eastwood), dove spicca la bravura di Ryan Gosling.
Insomma, dimenticate le “americanate” alla The Fast and the Furious dove si vive la vita “un quarto di miglio alla volta” per cercare dieci secondi di libertà: qui si corre la gara della vita, dove non serve far fischiare gli pneumatici alla partenza, ma tenere la strada a ogni curva o tornante. E anche a Cannes se ne sono accorti…
(Giacomo Bandini)