Tra i telefilm americani, a prevalere nei palinsesti della tv generalista sono sempre le crime series. CSI Miami, Criminal Minds e The Mentalist si incrociano e si sfidano su Italia 1, Rai Due e Rete 4, proponendo tre diversi modelli di prodotto giallo con alcuni fattori in comune che ne spiegano la popolarità. Perché la gente è attratta dalle serie incentrate sulle indagini e sugli omicidi?

La prima spiegazione è di natura pratica: si possono seguire anche sporadicamente. Non è necessario avere visto gli episodi precedenti per farsi unidea dei personaggi e appassionarsi al caso di puntata. In secondo luogo, esiste una motivazione psicologica: il mondo sta diventando più crudele, o meglio, i media ci ossessionano con la cronaca nera. Le adolescenti trovate morte, i parenti assassinati, gli scippi violenti. Vedere in tv che il Bene trionfa sul Male è unesperienza catartica, perché tutti abbiamo bisogno di credere che i serial killer non vaghino indisturbati e che ci sia qualcuno intorno a noi che lavora per catturarli.

Infine, possiamo ipotizzare che lo spettatore si appassioni perché può tentare di risolvere il caso insieme agli investigatori. il principio del successo della crime story, che unisce la suspense alla sfida intellettuale. Eppure, allinterno dello stesso genere, le tre serie in oggetto propongono diversi modi di affrontare i casi.

CSI si è imposta al pubblico perché ha mostrato la rivoluzione dei metodi dindagine, trasformata in una ricerca di laboratorio. I detective sono degli scienziati, che analizzano la scena del crimine per trovare ciò che è invisibile agli occhi. Nella serie ambientata a Miami, però, lazione sembra rubare la scena alla scienza e le puntate si concentrano su un unico caso giallo che coinvolge tutti i membri della squadra, mettendo alla prova le competenze individuali.

I protagonisti, radunati intorno allanalista forense Horatio Crane, sono accomunati dalla solitudine e vivono per il loro lavoro, combattendo per mantenere il distacco necessario ad affrontare il loro compito. Un distacco che, però, in questa stagione sembra vacillare, come se la sfida intellettuale non bastasse più a tenere in piedi la serie: il duro Horatio scopre di essere il padre di un adolescente avuto da unex fidanzata e deve affrontare il ruolo di genitore, non solo di investigatore.

I problemi esistenziali sono riservati invece alla squadra di Criminal Minds, che lascia da parte l’analisi dei reperti per concentrarsi sugli oscuri meccanismi della mente umana. Il principio è l’opposto di CSI: non si indaga sul cadavere, ma sull’assassino. I profiler devono immedesimarsi nella mente dei serial killer, per capire come agiscono e prevederne le mosse. La rivoluzione della serie parte da qui, dalla concezione del lavoro degli investigatori come di un’immedesimazione con il “cattivo” che deve essere catturato, sì, ma anche salvato da se stesso.

Il colpevole uccide perché è malato, disadattato, spinto da un problema concreto o mentale a coltivare una rabbia repressa che sfoga contro le vittime. Può essere un ragazzino dall’aria innocente che stermina le famiglie perché si sente rifiutato dalla propria. Per i detective è difficile mantenere un equilibrio individuale e, quando sembrano perdersi sul confine indefinito tra il bene e il male, si appoggiano alla squadra. Ma se possiamo immedesimarci nella mente dell’assassino, significa che potenzialmente siamo tutti dei serial killer? Forse. Ma alla fine sono le scelte che distinguono i buoni dai cattivi.

Un tono meno drammatico e più leggero caratterizza invece The Mentalist, la serie creata da Bruno Heller (lo stesso di Rome) che ha spopolato in America per poi approdare anche in Italia. Patrick Jane è un consulente al California Bureau of Investigation (Cbi), dove aiuta la squadra investigativa in qualità di “mentalista”. È un raffinato psicologo, un po’ Sherlock Holmes, un po’ truffatore, un tipo solare, anche se nasconde un dramma privato (la sua famiglia è stata sterminata da un serial killer Red John, e il “rosso” compare nei titoli di tutti gli episodi). Con The Mentalist si torna al poliziesco puro, che piace perché propone un detective simpatico e scanzonato, che nasconde però un’ombra di mistero. Forse Red John è la sua nemesi. D’altra parte, che cosa c’è di più affascinante, misterioso e insieme spaventoso della mente umana?

Colpisce che il denominatore comune dei tre telefilm sia la disastrata o inesistente vita familiare del protagonista (sempre un uomo). È come se fosse impossibile essere dei mariti e padri normali e insieme dei geniali investigatori: il talento è pagato con l’assenza della felicità coniugale. Perché? Il dolore per un evento tragico (l’uccisione della moglie, ad esempio) e la solitudine sono insieme la causa e la conseguenza del successo professionale, perché da un lato sono il “fantasma” del personaggio, il motore della sua azione; dall’altro, possono derivare proprio dal suo lavoro. In ogni caso, abbiamo di fronte degli individui infelici alla perenne ricerca di un ordine nel caos, che lottano non solo contro gli assassini, ma anche, e soprattutto, contro i propri demoni.