Cominciamo con il dire una cosa: Super 8 non è un brutto film. Diverte come un film non riusciva a divertire da tempo, ha un approccio visivo nuovo (elettricamente nostalgico, mi verrebbe da dire) e un cast praticamente perfetto in cui spicca Elle Fanning, la ragazzina di cui tutti avremmo voluto innamorarci a dodici anni se non avessimo avuto così tanta paura delle ragazze. Detto questo, loperazione nostalgia messa in piedi da J.J. Abrams (al suo primo vero film) per tributare Steven Spielberg (che qui produce), è un film deludente perché fallisce laddove lomaggio avrebbe dovuto invece trionfare.
Ma andiamo con ordine. Chi di voi ha seguito la serie tv Lost (fino alla fine), conosce bene il grande pregio e il grande difetto di J.J. Abrams. Per chi non lo avesse fatto, ecco qual è la delizia e la croce che ogni spettatore deve affrontare quando si trova davanti a qualcosa uscito dalla penna del regista e sceneggiatore americano: Abrams è davvero bravo a porgere le domande al suo pubblico. Lo fa in maniera ottima, trattando con intelligenza gli spettatori, giocando con loro nel rendere sempre più complessi (e per questo stimolanti) i misteri che la storia si lascia dietro. E la croce? La croce è che dà delle risposte banali e semplicistiche a domande complesse ed elaborate (che, ma non è questo il caso, il più delle volte riguardano il senso della vita), vanificando così ogni tentativo di fare qualcosa di diverso e intellettualmente alto in un panorama cinematografico come quello americano che non sempre offre loccasione di riflettere in maniera profonda sullo stato delle cose.
E Super 8 quindi non fa differenza. Certo, qui non ci sono le domande filosofiche di Lost o lintreccio multi-dimensionale di Fringe, ma Super 8 soffre degli stessi identici difetti. Avviso: da questo punto in avanti potrebbero esserci degli spoiler. Nel caso in cui non abbiate ancora visto il film (e non vogliate rovinarvi la sorpresa), non continuate nella lettura dellarticolo.
La sceneggiatura si deve occupare principalmente di risolvere un unico, grande mistero attorno a cui il film ruota: cosè quella creatura spuntata fuori dal vagone merci? Perché era su quel treno? Perché lesercito sembra fare mistero sulla vera natura della creatura? Perché quella creatura ci uccide?
Il risultato è una serie di risposte sin troppo prevedibili, non solo perché prendono in prestito qua e là pezzettini di E.T. – L’extraterrestre e Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma perché anni di cinema di fantascienza ci hanno ormai abituato a questo tipo di storia e, diciamolo anche, ormai siamo stufi. Il desiderio poi di fare combaciare per forza di cose la propria visione del mondo con quella di Spielberg, spinge Abrams a creare un alieno dal comportamento incoerente che un attimo prima lo porta a distruggere un’intera città (e non parliamo di palazzi ma di persone) e un attimo dopo a fare gli occhioni dolci ai protagonisti.
Per questo, nonostante il film intrattenga in maniera ottima, il finale non lascia quell’impronta decisa e ben delineata nel cuore dello spettatore: tutto scivola con il pilota automatico, Abrams conferma la sua incapacità di gestire il pathos e tutto finisce in maniera alquanto anonima e deludente, laddove tutto sembra essere stato predisposto per accogliere valli di lacrime di commozione.
Pur essendo un solido film di intrattenimento e un discreto omaggio a Spielberg e alla sua Amblin (con cui produsse i migliori film per ragazzi della storia del cinema), Super 8 delude le aspettative, vola basso e si ritrova imprigionato in un gioco nostalgico che non sempre vale la candela.