Cera una volta il product placement, ossia la pratica pubblicitaria in cui si piazzano dei prodotti in un film, magari li si inquadra e basta, e le aziende aiutano il finanziamento; poi, nel 2008 arriva Lezioni di cioccolato di Claudio Cupellini e cambia tutto, quella sorta di sponsorizzazione diviene plot placement, ossia la trama e lintreccio del film si basano su un prodotto e su un marchio, in quel caso la Perugina. A tre anni di distanza, Cattleya ha deciso di dare un seguito al film, mantenendo il protagonista Luca Argentero e cambiando il regista (lesordiente Alessio Maria Federici). Il risultato però non ha la stessa riuscita del primo capitolo.

Mattia è sempre al centro del film: stavolta vede i suoi affari edilizi in crisi e cerca attraverso lamico pasticcere Kamal di realizzare un progetto dolciario. Ma legiziano è molto tradizionalista e vuole proteggere la figlia Nawal dal fascino di Mattia: sforzo vano, visto che i due sincontrano lo stesso, ma in un modo del tutto particolare. Commedia culinaria e sentimentale scritta da Fabio Bonifacci che, tenendo sullo sfondo la creazione del Bacio bianco, racconta lamore ai tempi delle differenze (e diffidenze) interrazziali. Tutto il girotondo amoroso si basa infatti sui contrasti tra Mattia, Nawal (che si spaccia per una certa Leila) e Kamal, sulle opposizioni culturali tra la prima generazione dimmigrati, che vorrebbe portare più o meno intatte le proprie tradizioni, e la seconda, cresciuta in Occidente e abituata ai suoi costumi, ma divisa tra il rispetto e la rottura delle convenzioni: lItalia – ossia Mattia – resta a guardare, cercando di trovare il modo migliore per interagire e integrare.

Fuori però dal tessuto sociale, meglio gestito rispetto al lavoro nero della pellicola precedente, il film è una mezza delusione: il bisogno di replicare i nodi del primo capitolo, secondo la logica del sequel, fa perdere di raffinatezza alla costruzione, resa ancora più rozza dalla scelta di una comicità a tratti elementare. Soprattutto a causa della sceneggiatura, in cui il cioccolato si fa più ingombrante, troppe trame si sommano e lo sviluppo sentimentale, già tirato per i capelli, è poco credibile e coerente. Inoltre Federici sembra meno interessato al progetto di Cupellini (oltre che meno bravo) e fatica a dare ritmo vivace agli interpreti, da Argentero alla deliziosa Nabiha Akkari (Che bella giornata). A reggere il film la forma smagliante di Vincenzo Salemme e la simpatia naturale di Hassani Shapi, ma stavolta il cioccolatino, come si dice nel film, non fa cric-crac e resta abbastanza insapore.

Però resta imbattibile dal punto di vista del marketing: innanzitutto la storia non si basa, come il primo, sulla semplice creazione del cioccolatino, ma di un cioccolatino simbolo della fabbrica di Perugia, ossia il Bacio, nella sua variante bianca, che proprio nei giorni di lancio del film ha trovato il suo posto nel mercato, con tanto di finta conferenza stampa di presentazione che sembra uno specchio della vera presentazione; ma, soprattutto, perché Universal, Cattleya e Perugina hanno organizzato poche settimane prima della presentazione un tour nella fabbrica e nei luoghi in cui il film è stato girato, soprattutto l’aula in cui il maestro Salemme insegna ai personaggi a fare il cioccolato: e così, anche i giornalisti, come il pubblico che quotidianamente si reca nella fabbrica per apprendere i segreti del cacao, hanno scoperto i misteri del temperaggio, del ripieno, del segreto di un buon cioccolato, dalla scelta del burro di cacao all’equilibrio tra gli ingredienti. Elementi che poi si ritrovano nel film, così come i veri maestri che fanno da spalla agli attori.

Una sorta di riconoscimento doppio per chi ha scoperto l’arte del gusto, ma anche l’invito a visitare un luogo che è una sorta di tempio per ogni goloso. Ed è una vittoria per la fabbrica, più che per la produzione del film: più che il cinema, poté il cioccolato.