Dopo il fallimento di Scontro tra titani di Louis Leterrier, brutto tentativo di fantasy mitologico con cui il nuovo 3D ha toccato uno dei punti più bassi della sua carriera, si pensava che le favole dellOlimpo o simili dovessero attendere un po prima di tornare sugli schermi. Invece è arrivato nelle sale Immortals, mitologia supereroica che proprio con la trama del film di Leterrier flirta e che si dà una patina diversa grazie alla regia di Tarsem Singh, artista contemporaneo, visionario autore di videoclip, al terzo film dopo The Cell e The Fall (e prima dellarrivo di Mirror, Mirror, la sua versione di Biancaneve).

Il film vede il terribile Iperione minacciare la distruzione della Grecia tramite la liberazione dei titani. Lesercito si attrezza per difendersi, evacuando la città, e tra questi cè Teseo, un contadino preparato alla guerra da un anziano Zeus sotto mentite spoglie: mentre Teseo e loracolo Fedra partono alla ricerca dellinfallibile arco di Epiro, gli dei devono decidere se aiutare lEllade a salvarsi dalla tirannia o se lasciare gli umani a cavarsela da soli. Avventura scritta dai fratelli Vlas e Charles Parlapanides e prodotta da Nunnari, Canton e Kavanaugh – già responsabili del molto discutibile 300 – che raffigura un mondo di brutalità e violenza inenarrabili messo in scena attraverso il tipico gusto visivo di Tarsem, rincorrendo più che ispirazioni mitologiche riferimenti alla Bibbia e allarte digitale, con tanto di stereoscopia aggiunta in post-produzione e come al solito poco significativa.

Più che descrivere un immaginario bellico di stampo imperiale (per non dire fascista) come 300 o cercare di rinnovare con la tecnologia il mito greco come in Scontro tra titani, Immortals ha come unico obiettivo quello della ridefinizione visiva di un immaginario, fatto di pepla, sandali e lance, templi e tatue in cui larte, larchitettura, la scultura avevano un peso sociale e politico infinitamente maggiore rispetto allattualità, attirando perciò lattenzione creativa di un regista che usa anche il cinema come contenitore o creatore di forme geometriche; ma Tarsem è anche attratto dai parallelismi tra il paganesimo e la cristianità, con la Bibbia libro dei libri come archetipo di ogni forma: il vitello pregato dallinfedele Iperione come quello doro distrutto da Mosè (e simbolo del paganesimo), le riflessioni degli oracoli sullanima immortale e nel sottofinale una via crucis in bassorilievo che racconta le imprese di Teseo.

La forza del film, però, la cura e il gusto della forma, ne rappresentano anche il principale limite: e non perché si crede che il contenuto debba vincere, tutt’altro, proprio perché l’operazione formale e artistica di Tarsem pare poco interessante: il film è brutalità in immagini patinate e bellissime (l’apparizione degli oracoli), arte contemporanea con dentro un’idea mitologica, gioco di immagini auliche che però strizza l’occhio ai supereroi (gli X-Men per la precisione, tanto che alla prima apparizione Atena sembra la camaleontica Mystica). Mancano le emozioni, anche quelle contemplative dei tableaux vivants, e tolta la lotta tra dei e titani, anche lo spettacolo.

La sceneggiatura procede a tentoni, ma sarebbe un male minore oltre che irrilevante per prodotti di questo tipo, quello che più conta è che Tarsem, al contrario che nei due film precedenti, si disinteressa dell’opera film e si limita a riempirla di immagini, composizioni, rimandi, personali creazioni senza un vero sfondo, né un’utilità, trasformando il culto della forma in un mero contenitore di forme, tradendo lo spirito artistico nel fare del film una galleria d’arte del proprio ego. Della quale, tanto Hanry Cavill, quanto Freida Pinto e Mickey Rourke, possono al limite fare da custodi.