Puntata dedicata all’euro, quella di Servizio pubblico, il programma di Michele Santoro, andata in onda ieri sera. I due principali ospiti della puntata erano l’ex ministro Renato Brunetta e l’ex segretario Cgil nonché ex sindaco di Bologna Sergio Cofferati. Ebbene proprio i due ex si sono scatenati in una rissa verbale degna di tempi più “caldi” della televisione, per intendersi quando era ancora in carica il governo Berlusconi e le risse verbali in tv erano all’ordine del giorno. Ma cosa ha scatenato i due personaggi che apparentemente non hanno granché da condividere? Quello che ha fatto scatenare i due è stato un momento della discussione in cui si è toccato il tema delle pensioni, tema più che mai all’ordine del giorno in vista dell’annunciata riforma del governo Monti e su cui i sindacati hanno già protestato. Brunetta stava intervenendo, sostenendo la severità che l’Europa ha chiesto all’Italia per uscire dalla crisi economica e finanziaria e parlando di pensioni ha voluto sottolineare come non sia più possibile andare in pensione con le regole che sono in vigore da decenni. “In base alle aspettative di vita i contributi versati non basterebbero a coprire tutti gli anni di pensionamento: per Brunetta infatti i contributi non coprono addirittura dieci anni della vita di ciascun pensionato. Aggiunge Brunetta che in Italia si è sempre andati in pensione con una età contributiva e anagrafica limitata: i soggetti terzi, adesso, le nuove generazioni, devono pagare dieci anni di pensione in più agli altri per colpa anche delle condizioni di vita oggi più lunghe. Finito il suo intervento, Santoro chiede a Cofferati se quanto detto dall’ex ministro, secondo lui, sia vero. Ovviamente no: neanche per scherzo, dice l’ex segretario Cgil. Si tratta di fantasia pura, aggiunge. Ed ecco che scatta la disputa, la rissa: si toccano tutti gli argomenti possibili inerenti alle pensioni, le colpe del governo Berlusconi eccetera. Per Cofferati, in sostanza, il problema dei giovani è maggiormente quello del lavoro che è cambiato in peggio: non c’è più la possibilità di una contrattazione a tempo indeterminato e i lavoratori hanno occupazioni instabili.