Un film su un eroe letterario ottocentesco che eguaglia al botteghino linossidabile cinepanettone natalizio è unimpresa non da poco, quasi fantascientifica. La squadra Ritchie – Downey Jr. – Law ci è riuscita nel 2009, macinando con Sherlock Holmes un successo dopo laltro (400 milioni di incasso mondiale, quasi 20 solo in Italia).
Come promesso dal finale del primo capitolo, chiuso con le parole caso riaperto, a due anni di distanza torna al cinema linvestigatore più amato del mondo, e a rimanere invariata non è solo laffiatatissima squadra ma anche il meccanismo di stravolgimento dellimmaginario collettivo e di rilettura in chiave moderna delle avventure di Holmes, che diventa un vero e proprio eroe dazione, questa volta ancora più scatenato e fisico, tanto che è impossibile ignorare la connessione con James Bond.
In realtà Conan Doyle aveva creato un personaggio alla Bond già 130 anni fa precisa il regista Guy Ritchie presentando il film a Roma, un eroe dazione che era anche intellettuale. [] Lestetica non doveva essere per forza quella originale, non volevamo fermarci a una visione stereotipata del personaggio. Volevamo che lestetica del personaggio fosse altrettanto fresca come la nostra visione della storia. . Anche il protagonista Robert Downey Jr. ci tiene a sfatare un mito e rivendica lestetica del suo Holmes, mago nelle arti marziali e nei travestimenti: La visione classica di Holmes con mantellina, lente, ecc. è solo una stereotipizzazione introdotta successivamente da cinema e tv, mentre i travestimenti erano già presenti nelle storie originali: nel nostro film, poi, non erano mai abbastanza, e ce nè persino uno disgustoso nella scena del treno.
Se lHolmes di oggi ha dalla sua la forza fisica, la mente rimane sempre la sua prima arma, e la sua astuzia lo tirerà fuori dalle situazioni più complicate ed estreme. Questa volta però deve vedersela con una mente altrettanto scaltra devota al male, quella del professor Moriarty (Jared Harris), e sventare il complotto di proporzioni mondiali da lui ordito, attraversando lEuropa con il fido Watson (Jude Law) al suo fianco e laiuto della bella zingara Sim (Noomi Rapace, al suo debutto hollywoodiano).
Altra new-entry è linglese Stephen Fry nel piccolo ma spassoso ruolo di Mycroft, leccentrico fratello maggiore di Sherlock Holmes.
Nel passaggio dal cinema indipendente a quello mainstream, Ritchie si è dimostrato perfettamente a suo agio e bravo a dare ritmo e spettacolarità alla pellicola senza (quasi) mai sacrificare la sceneggiatura. “Ultimamente si sta verificando il fenomeno per cui i film indipendenti stanno “appassendo”, mentre la qualità dei film prodotti dagli studios sta aumentando. Ritengo che questo matrimonio tra cinema indipendente e grande produzione sia un momento unico nella storia del cinema, e mi fa piacere farne parte”, è il commento del regista.
È innegabile che gran parte della forza del film stia nel personaggio e nella simbiosi perfetta creatasi con l’attore, che gli conferisce fascino, carisma e viso beffardo.
Rispetto al primo capitolo, molto più spazio ha il rapporto tra Holmes e Watson, due amici che con i loro battibecchi sembrano quasi una coppia, e nel metterlo in scena Downey Jr. e Law si rivelano una coppia formidabile, una delle migliori venute fuori al cinema negli ultimi anni. “Un regista una volta disse che il 90% della regia è costituito dal casting” dice Ritchie, “in questo caso, ci è voluto un po’ per scegliere il partner del protagonista, ma fin dall’inizio eravamo sicuri di Robert, e quando abbiamo visto Jude dopo 30 secondi abbiamo pensato che fosse perfetto. Questa alchimia tra i due ci piace molto perché è l’essenza del film”. Anche Downey Jr. è consapevole di quanto il feeling tra lui e Law sia cruciale per il successo della pellicola: “Se il pubblico non avesse reagito positivamente al casting del primo film, non saremmo stati qui nel sequel; quando si torna su un personaggio, alcune cose possono perdersi, quindi bisogna ampliare alcuni aspetti e approfondirli. Noi volevamo rendere al meglio la profondità dell’amicizia”.
La passione di Downey Jr. per il progetto lo ha portato a partecipare attivamente al processo di scrittura e ad intervenire sulle scelte del regista. “Sul set io, Guy e il resto della troupe discutevamo spesso, litigavamo persino” racconta, “ma alla fine siamo riusciti a ottenere una sintesi: quello che il pubblico ha visto, è che avevamo un immenso rispetto gli uni degli altri”. Ritchie conferma il clima positivo e stimolante che si è respirato sul set: “Da parte di tutto il team creativo c’è stato entusiasmo per un personaggio ancora enigmatico. L’entusiasmo è stato fondamentale, è stata la spinta alla base di tutto: abbiamo litigato e discusso un sacco, ma siamo felici, visto che siamo stati tutti complici dal punto di vista creativo”.
Di fronte alla buona qualità dell’intrattenimento offerto si può perdonare facilmente qualche passaggio della trama spiegato frettolosamente, o non spiegato affatto. Certo, chi aveva storto il naso di fronte allo Sherlock sempre pronto a fare a pugni del primo film non cambierà posizione, anzi: le illuminazioni geniali che hanno reso celebre l’eroe di Conan Doyle ci sono, ma passano in secondo piano rispetto all’azione frenetica, con uso abbondante di effetti speciali e grande spazio alle armi da fuoco. Questo squilibrio, sicuramente ponderato, a sfavore della parte prettamente investigativa, è probabilmente l’unico difetto di un ottimo sequel.