Le Idi di marzo. Ovvero una storia di corruzione condita in un thriller politico un po scontato, vagamente noioso e, soprattutto, fintamente moralista. Questa è la storia di Stephen Meyers (Ryan Goslin), trentenne americano tutto dun pezzo – fino a prova contraria – che, sotto legida di Paul Zara (Paul Giamatti) segue la comunicazione della campagna elettorale per le primarie presidenziali del Partito Democratico. Proponendo allelettorato un candidato – Mike Morris (Gorge Clooney) -che, pugno sul petto, professa il credo dei valori più sinceri e autentici della Costituzione americana.

Fin qui tutto bene. Ma sotto il mare calmo, piatto e rassicurante dellapparenza si nasconde una corrente di imbrogli e tradimenti che rappresentano la vera essenza di questa corsa alla Casa Bianca. E che con il suo impeto travolge tutti, lasciando a terra corpi innocenti e coscienze che, sgretolate dalla realtà, risorgono come la Fenice. Ma rimodellate secondo le regole del gioco.

Questa lessenza della pellicola firmata George Clooney. Nobile nelle intenzioni, ma decisamente fiacca nel contenuto. Perché racconta senza originalità e senza una posizione netta la pochezza di questa realtà nota già ai più attraverso le quotidiane pagine di giornali. Si limita – ci si conceda il termine – a mettere in scena ciò che, in una visione molto pessimista, presumibilmente infesta qualsiasi campagna elettorale. Giocando sulla contrapposizione tra apparenza e realtà, lealtà e corruzione, corsa per la vittoria e sopravvivenza.

Accade, così, che i giochi di potere su cui si basa lo scontro tra candidati e la millimetrica strategia di riuscita si trasforma da lotta per la vittoria in gioco per restare a galla. Per tutti. Perché gli avversari non sono solo quelli che stanno dallaltra parte della barricata, ma anche chi ti siede accanto. Soprattutto quando il gradino tra gli ideali professati e vissuti è tale da far calpestare qualsiasi buona intenzione pur di non affondare.

Per cui onestà e corruzione non sono due realtà ostili, bensì facce di una stessa medaglia in un gioco di luci e ombre in cui nessuno si salva. Tutti pagano a caro prezzo il miscelarsi di questi due mondi. Cè chi lo fa accettando compromessi. Chi, invece, svegliandosi dal torpore delle buone intenzioni e scoprendo che il mondo non è così disinfestato di scarafaggi come sembra. Chi è troppo fragile per reagire a questo stupido gioco e alla fine la paga davvero cara.

Perché se di anni ne hai cinquanta e sei in corsa per la poltrona più importante del mondo, puoi anche – se il tuo fine giustifica i mezzi – raccontare un sacco di balle alla Nazione pur di averla in pugno. A venti, invece, forse sei troppo ingenuo per reggere le regole di questa partita. E a trenta credi di aver capito tutto. Mentre invece ti è sfuggito molto.

Le Idi di marzo solleva un tema attuale, ma con un ritmo non interessante, nonostante l’incastro perfetto delle pugnalate alle spalle che tutti si lanciano. Solo due colpi di scena rivitalizzano la storia, ma poi la tensione si condensa e nasconde dietro l’espressione marmorea dello stupito Stephen. Che, nello scoprire il torbido che si nasconde dietro le pieghe del suo mestiere, resta scioccato in un’immobile e apparentemente imperturbabile fermezza.

Sguardo vitreo in superficie, ma commosso, deluso e turbato nel profondo, dietro cui prendono forma una serie di pensieri e decisioni maturati intimamente. Perché alla fine quale sia il vero prezzo da pagare solo la coscienza di ciascuno può dirlo.