La piccola gente va di moda sul grande schermo. Dopo i Prendimprestito di Miyazaki (Arrietty) tornano i Minimei di Luc Besson, un popolo minuscolo portato al successo dalla saga di Arthur (Arthur e il popolo dei Minimei, Arthur e la vendetta di Maltazard) centrata sulla storia di un ragazzino che si trova coinvolto nelle vicende di microscopiche creature. Lepopea era cominciata con un viaggio nel mondo verde dei Minimei, affascinante nella sua originalità e nella sua perfetta sintonia con un habitat puro e incontaminato.

Come spesso accade, il nemico non è un estraneo, ma un membro della comunità dominato dal desiderio subdolo del potere, che rompe lequilibrio del sistema mettendo in pericolo i suoi simili. Così il perfido Maltazard ha trovato il modo di crescere in statura e di irrompere nelluniverso degli umani, offrendo il gancio per questo nuovo capitolo della storia.

Il giovane Arthur è rimasto nel regno dei Minimei, ridotto alle loro dimensioni e dato per disperso dai genitori che lo cercano disperatamente. Al suo fianco ci sono la bella Selenia, con la quale ha un rapporto damicizia che sta per sbocciare in qualcosa di più profondo, e il simpatico nano Betameche, che pur non essendo la creatura più intrepida del mondo si lascia coinvolgere nellavventura imparando ad affrontare le sue paure. La loro missione prevede il ritorno nel mondo degli umani, per aiutare Arthur a riprendere la sua normale statura e impedire a Maltazard di portare scompiglio a Daisy Town.

Ma gli ostacoli non mancano: i tre devono vedersela con Darkos, il figlio del cattivo, deciso a unirsi al padre per reclamare la sua attenzione, ma pieno di insicurezze. Il rapporto tra Darkos e Maltazard diventa così il fulcro della vicenda, offrendo lo spunto per la classica tematica (che si ritrova in molti modelli letterari e cinematografici) del desiderio di essere allaltezza del genitore per ottenerne la stima e laffetto. Il percorso di Darkos è interessante perché deve affermare la sua personalità scegliendo ciò che è giusto, non ciò che può compiacere Maltazard. Da cattivo maldestro diventa così il paladino del terzo capitolo della saga, aiutando il protagonista (dopo lo scontro iniziale) a salvare se stesso e la città dal disastro.

Anche Arthur, da parte sua, deve conquistare un rapporto più armonico con il padre. Il suo viaggio lo porta a confrontarsi con il vasto mondo, con le sue paure e debolezze, arrivando a comprendere che gli adulti sono imperfetti e che i malvagi cambiano aspetto e seminano distruzione solo perché cercano di dimenticare le ferite dell’anima.

In realtà, sembra quasi che l’importanza dell’eroe nel film sia relativa, perché l’epopea arthuriana è costruita intorno alla tematica della solidarietà. Serve l’aiuto delle persone oneste e capaci di amare per raggiungere i traguardi della vita e per superare i momenti difficili. E il gioco delle dimensioni, che porta i personaggi a cambiare il loro punto di vista sul mondo, permette di insistere sull’importanza dello “sguardo”, che non deve mai essere univoco: la realtà si comprende soltanto affrontandola da diverse angolazioni, senza pretendere di dominarla, ma cercando di avvicinarsi a essa con umiltà e apertura verso “l’altro”.

Il punto debole del film precedente era la comicità inconsistente dei genitori di Arthur, macchiette di scarso spessore che anche in questo terzo capitolo rischiano di risultare poco pertinenti. Per fortuna il loro spazio è limitato a favore dell’azione che dà ritmo alla storia. Eppure si ha l’impressione che la favola ecologista di Luc Besson, con tutti i suoi pregi, sia pensata per un pubblico solo di bambini e manchi del tocco magico che rende alcune storie memorabili, arrivando a colpire anche gli adulti.