Essere incoronati Re di Inghilterra comporta, oltre agli onori, anche responsabilità e ostacoli. Quello che per Re Giorgio VI fu forse il più difficile da superare è alquanto insolito: la balbuzie. Questa vicenda singolare che la Famiglia Reale non ha permesso venisse raccontata per decenni ha ispirato Il discorso del Re, lelegante pellicola di Tom Hooper, giovane regista inglese prevalentemente televisivo, con un Colin Firth in stato di grazia nei panni del re.
Vicenda singolare, anche perché prima di essere incoronato, Albert, vero nome di Giorgio VI, non aspirava a diventare re, essendo il secondo in linea di successione. Anche il titolo di Duca di York richiede però il saper parlare in pubblico e la balbuzie di Bertie, come viene chiamato in famiglia, diventa presto un limite troppo grande. Sua moglie Elisabetta (Helena Bonham Carter), la futura Regina Madre, dopo i fallimenti dei medici tradizionali si rivolge quindi al bizzarro logopedista Lionel Logue (Geoffrey Rush).
Il film si snoda quasi interamente intorno alla relazione tra medico e paziente: eccentrico e testardo il primo, scettico e irascibile il secondo. Per il futuro re, lapproccio di Logue è irritante al limite della sopportazione: lo chiama Bertie e pretende ostinatamente di instaurare un rapporto personale, cerca di psicanalizzarlo sfidandolo a tirare fuori ricordi scomodi dellinfanzia, lo fa cantare, gli fa urlare parolacce. I metodi di Logue iniziano però a funzionare, così il futuro re scioglie le difese e si affida a lui, fino a scoprire di aver trovato un amico.
Nel frattempo, la morte di Re Giorgio V e labdicazione del figlio maggiore Edoardo VIII per amore di unamericana divorziata mettono Bertie di fronte a una imprevedibile realtà: sarà lui il prossimo re di Inghilterra. In vista dellincoronazione nel dicembre del 1936 e del discorso in diretta radiofonica mondiale, reso cruciale dallincombere della Guerra Mondiale, il lavoro di Logue diviene ancora più prezioso.
Inutile dire che il piatto forte del film sono i suoi magnifici protagonisti. Fresco di Golden Globe, Colin Firth può vantare una carriera strepitosa, costellata di scelte giuste e interpretazioni sincere. Il riconoscimento dell’Oscar, già sfiorato l’anno scorso per A single man, sarebbe più che meritato. Per la seconda volta a distanza di quattro anni verrebbe premiata l’interpretazione di un reale inglese, dopo la Helen Mirren di The Queen.
Ancora una volta, come nella pellicola di Tom Ford del 2009, Firth entra nella pelle del personaggio, ne incarna fragilità e frustrazioni. Quando balbetta, ciò che interpreta è lo smarrimento, l’umiliazione, il vuoto. Meraviglioso anche l’alternarsi dell’aplomb regale agli scatti di ira incontrollata.
Il personaggio di Lionel Logue sembra cucito addosso al fuoriclasse australiano Geoffrey Rush, che lo rende in maniera buffa ma al tempo stesso controllatissima, lontana dallo sgangherato Barbossa di Pirati dei Caraibi. Helena Bonham Carter regala invece una Regina Elisabetta deliziosamente ironica e pungente. Per entrambi sono arrivate puntuali le nomination a Oscar e Golden Globes.
Tanto è perfetto il cast, arricchito da Guy Pearce, Michael Gambon e Timothy Spall, tanto il resto è impeccabile in ogni dettaglio, dalla regia alla sceneggiatura di David Seidler, dalla fotografia di Danny Cohen alle musiche di Alexandre Desplat. Non a caso il film ha conquistato candidature agli Oscar 2011 in quasi tutte le categorie possibili, ben dodici, dopo la pioggia di nomination ai Golden Globes e soprattutto ai BAFTA. Così tanta perfezione da rendere il film freddo, senz’anima, si dirà. Il rischio c’è, ma a portare calore ci pensano gli straordinari interpreti.
Il discorso del Re è un film tipicamente inglese in cui i dialoghi la fanno da padrone a discapito dell’azione, adatto a chi preferisce le piccole storie ai film epici e non vuole necessariamente uscire dalla sala con lo stomaco contorto per l’emozione, ma si “accontenta” di un prodotto dalla fattura eccellente in cui poter ammirare estasiato un sublime balletto di attori.