Devo ammettere che da tanto tempo non mi sentivo così italiano come ieri sera ascoltando un grande Roberto Benigni. Più che un fattore nazionalistico, lho percepito come un modo dessere e di guardare la vita. una vocazione a intercettare e a produrre bellezza quello che fa lItalia, nella sua dimensione più intima e più irriducibile.
Quando entrate in un qualsiasi museo del mondo e vedete quei chilometri di bellezza artistiche venute dallItalia, dovete pensare che voi siete quella cosa, che non veniamo da lì, che nel nostro sangue cè quella bellezza. Così più o meno ha detto Benigni. E credo che sia un giustissimo suggerimento pedagogico: le cose che si guardano cambiano il modo di guardare. Specie se si scopre che quelle cose ci appartengono.
Per questo ho sempre sostenuto che nelle scuole italiane ci dovrebbero essere delle gite dobbligo perché imprescindibili per qualsiasi processo formativo: una su tutte, quella ad Arezzo per vedere Piero della Francesca. In più, Benigni è riuscito persino a nobilitare una bandiera un po inscialbita: pensare che la genesi del bianco rosso e verde discenda dallapparizione di Beatrice a Dante (cioè una delle esperienze di bellezza nel senso di bellezza sperimentata in assoluto più clamorose della storia), è cosa che riempie di emozione.
Beatrice che appare a Dante in una nuvola di fiori è infatti vestita di rosso fuoco, coperta da un manto verde, con il capo circondato da un velo bianco. Quindi, grazie a Benigni anche per quell’inno di Mameli cantato sommessamente senza musica, immaginandolo sulla bocca di un soldatino in trincea. Un inno svuotato finalmente di retorica e riportato dentro un vissuto credibile.
Certo, restavano quelle orribili facce di una nomenclatura bollita schierata in prima fila, che sembravano una smentita tristissima all’Italia evocata da Benigni. Ma forse era a loro (e sicuramente a noi), che Benigni alla fine ha detto. «Svegliatevi, è l’unico modo per realizzare i vostri sogni».
Articolo per gentile concessione del sito http://beta.vita.it/