Un ringraziamento a Roberto Benigni per averci fatto sentire tutti un po’ più italiani. Ma anche una critica ai molti falsi storici della performance del comico a Sanremo. E una domanda: davvero ci voleva un comico per parlare di Risorgimento e Unità? Questi in sintesi gli argomenti di Antonio Socci, che in un commento su Libero di oggi esprime il suo parere sull’esibizione sanremese del regista de La vita è bella. Perché «il caso Benigni è emblematico. Nessuno ha riflettuto su quanto sia singolare che a un comico sia di fatto affidata lunica vera celebrazione del 150 dellUnità dItalia (in effetti la performance di Benigni a Sanremo era più attesa dei discorsi ufficiali del presidente Napolitano).



Socci apre il suo commento con il ringraziamento: «Roberto Benigni merita un grande grazie!. Certo, alcune baggianate le ha dette nella sua performance al festival di Sanremo. Ad esempio quella sulla nascita della bandiera italiana, che per il comico sarebbe stata ideata da Giuseppe Mazzini su una terzina dantesca. Invece il tricolore esisteva già da prima della nascita di Mazzini, e il verde, bianco e rosso del vestito di Beatrice nel Paradiso fanno riferimento alle virtù teologali. Nel complesso infatti il discorso di Benigni è «stato un alluvione di retorica da piccola vedetta lombarda. Ha narrato una favoletta piena di eroi giovani e forti (che sono morti) assai lontana dalla realtà dei fatti.



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Il principale merito di Benigni rimane quello di aver parlato di patriottismo e nazione: parole dimenticate in 60 anni di storia repubblicana: «Dopo il fascismo, che ridusse l’amor di patria a una macchietta comica prima e tragica poi (per il nazionalismo, il colonialismo e la catastrofe bellica), le sole due modalità che gli italiani, nel cinquantennio repubblicano, si sono concessi per essere patriottici sono state il calcio (lo stadio, dove giocava la Nazionale, è diventato l’unico posto dove sventolavamo il Tricolore) e la comicità (vedi “La grande guerra” interpretata da Gassman e Sordi, per fare un esempio)».



 

Ma c’è di più: quelle parole sono state tabù soprattutto per la sinistra. Che sia proprio Benigni a riutilizzarle è una piccola «rivoluzione culturale». «Che oggi si possa parlare di “patria” senza più i tabù ideologici del passato, come ha fatto Benigni, è una gran bella cosa. Che tutti insieme ci si possa riconoscere nel nostro passato e nel nostro Paese, come una sola famiglia è meraviglioso. Tanto più – coclude Socci – in questo anniversario dei 150 anni dell’unità nazionale, nel quale il Paese sembra dilaniato dagli odi e il disprezzo reciproco quasi rende impossibile riconoscersi come un solo popolo».

 

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