Il “tormentone” televisivo continua. Segue, a seconda dei gusti politici, lo schema di un anno caldo dell’informazione italiana: la casa di Montercarlo del presidente della Camera, Gianfranco Fini; le escort e la “compagnia serale” di Silvio Berlusconi; le “vendolate”, sempre con orecchino di ordinanza. Si profila all’orizzonte una ricaduta “trans” per l’ex governatore del Lazio, Piero Marrazzo.

Le scadenze del “tormentone” sono rigorose e impietose come le cambiali o i pagamenti dei mutui cartolarizzati. Il giovedì c’è il grande show di uno che si crede “anti”, anti-conformista, anti-regime, eccetera eccetera. Si tratta del conosciutissimo Michele Santoro, strapagato organizzatore di “processi” parapolitici a senso unico. Insomma, Santoro è un tipo tanto “anti” che può mandare a quel paese, in diretta, il suo direttore generale, tale Mauro Masi, che cerca goffamente di redarguirlo per come conduce la trasmissione. Ma il servizio pubblico radiotelevisivo, cioè pagato con il canone di tutti i cittadini italiani, ha un’offerta variegata di agit-prop del giornalismo televisivo militante.

Il martedì si presenta, con maggiore compunzione, ma con una cattiveria più allusiva e ipocrita, un altro emulatore di Santoro, l’ineffabile Giovanni Floris, dall’eloquio fluente e meno enfatico di quello del guru Santoro. Insomma appena un poco più moderno, televisivamente parlando.

La trasmissione di Floris, dal titolo evocativo “Ballarò”, comincia sempre con un preludio scherzoso ma graffiante di Maurizio Crozza che però, questa volta, fa, in un inciso, un epinicio di Pierluigi Bersani, della “stessa pasta” del vecchio Pci. Sullo sfondo naturalmente c’è l’incontinente Berlusconi. E quindi Crozza invita a mettersi tutti insieme “In nome dell’Emilia” contro questo premier “che pensa solo alla gnocca”. Come si può notare una finezza impagabile. Cerca la battuta a tutti costi Crozza. Termina la sua introduzione in questo modo: “Mubarak sotto assedio in Egitto viene raggiunto da una telefonata di Berlusconi: sono lo zio di Ruby”.

Il compunto teleconduttore sorride compiaciuto e introduce la trasmissione presentando gli ospiti: Pierluigi Bersani, Pier Ferdinando Casini, Maurizio Lupi, l’imprenditore Diego Della Valle (un abbonato nelle presenze di Ballarò, in qualità di politologo aggiunto come Montezemolo), il vicedirettore de “Il Giornale” Nicola Porro. La trasmissione riprende quindi con una “predica pastorale” di Pierluigi Bersani, dove, dato atto che la magistratura deve fare il suo mestiere e deve interessarsi delle “notti di Arcore”, (è ormai una premessa che è diventata un luogo comune generale, forse necessario), cerca di fare capire che Silvio Belusconi deve abbandonare il campo perché il governo non ha fatto nulla, il Paese è in uno stato di profonda crisi e Berlusconi è in tutte altre faccende affaccendato. Casini fa praticamente un comizio, con toni alti e bassi, ma senza sbandare dalla solita linea di un nuovo governo di larga coalizione.

Interventi praticamente inutili per comprendere che cosa accadrà effettivamente e che cosa c’è di nuovo nella politica italiana. Maurizio Lupi replica con buon senso e basandosi sui dati reali. Ma il copione è già scritto dal teleconduttore che insiste: "Si sapeva del rapporto di Berlusconi con le donne da molto tempo, del tipo di vita che gli piace fare. Ma che cosa è cambiato questa volta?"

 

Risposte nuove rispetto a questa domanda non ne arrivano da nessuna parte. Sembra di assistere a un dibattito di cose conosciute da tempo, dove nulla di nuovo accade, ma tutti parlano, parlano, parlano. Forse, assistendo al Ballarò di ieri sera, monotono oltre ogni misura, ci si dovrebbe interrogarsi sull’utilità di questi talk-show, ci si dovrebbe chiedere: a che cosa servono?

 

Ogni tanto interviene il sondaggista Nando Panoncelli con dati che sono già conosciuti e che differiscono di poco dagli altri dati già ampiamente conosciuti e propagandati. Sostanzialmente anche Pagnoncellli dice che la fiducia verso Berlusconi non è mutata.

 

Alla fine Floris e Pagnoncelli combinano prima un scenario con tre schieramenti: centrosinistra, centrodestra e terzo polo. Ci sarebbe un testa a testa con lieve vantaggio del centrosinistra sul centrodestra. Altro scenario: tutti contro Berlusconi e la Lega. A questo punto vincerebbero le opposizioni. Ma Bersani commenta che il vero dato è la dichiarazione di astensione al voto.  Il 40%. Casini si riporta di nuovo alla necessità di un governo di larga coalizione.

 

A proposito, si è parlato anche di federalismo, di Ici e di valutazioni sulla bontà del federalismo. Bontà loro. Ma il risveglio dall’assopimento postprandiale davanti al televisore dura pochissimo tempo. La sostanza del talk show risponde solo a libere discussioni quasi da bar. La politica non c’entra nulla. E prevale la sonnolenza.