Dopo il successo planetario dei vampiri di Stephenie Meyer, editoria e cinema americani non hanno certo intenzione di abbandonare la formula vincente, ovvero elementi sovrannaturali e tormenti adolescenziali mescolati sapientemente.

Nella saga già best-seller di Pittacus Lore, pseudonimo di Jobie Hughes e James Frey, a far battere il cuore di una liceale è un alieno con sembianze umane.

Forte del successo di Transformers, Michael Bay ha acquistato i diritti di I am Number Four, primo di sei libri, ancor prima della sua pubblicazione, affidandone la trasposizione cinematografica alla regia di D.J. Caruso, che torna a rivolgersi ad un pubblico di adolescenti dopo aver lanciato Shia LaBeouf in Disturbia,  modesto remake in salsa teen de La finestra sul cortile.

Protagonista della saga è un giovane alieno rifugiatosi sulla Terra insieme al suo guardiano dopo la distruzione del pianeta Lorien. Gli invasori vogliono però eliminare tutti e nove i sopravvissuti: con i primi tre ci sono già riusciti e lui, come recita il titolo, è il prossimo della lista. Numero Quattro, dotato di poteri straordinari che lui stesso scopre a poco a poco, si sposta da uno Stato allaltro cercando ogni volta di integrarsi tra i ragazzi del posto e per farlo non ha assunto fattezze da tipico adolescente brufoloso, come biasimarlo, ma da modello di biancheria intima. Il pellegrinaggio termina in una cittadina dell Ohio, dove il ragazzo scopre lamore grazie alla bella fotografa Sarah, ma non sarà possibile nascondere a lungo la sua identità.

Sia il film che il libro cercano smaccatamente di fare presa sul pubblico under 20 offrendogli tutto ciò che sembra amare di più: combattimenti ed effetti speciali massicci affiancati ad una buona dose di romanticismo. Ancora una volta è una ragazza umana ad essere irresistibilmente attratta dal “diverso”.

Questa volta però lo schema è così collaudato da risultare a tratti logoro e far difficilmente prevedere un impatto anche lontanamente simile a quello di Twilight, dove almeno il tema dell’amore impossibile era sviscerato in maniera più efficace. Né il pur elevato dispendio di mezzi è tale da poterlo paragonare al giocattolone Transformers, di cui Michael Bay, qui solo produttore, è anche regista.

 

In Sono il Numero Quattro ci sono il ritmo giusto, le musiche giuste, gli effetti speciali giusti, le facce giuste (Alex Pettyfer, Dianna Agron e Teresa Palmer sono i giovani protagonisti, Timothy Olyphant l’unico veterano). Eppure manca qualcosa che lo elevi al di sopra di un prodotto standard, forse un’idea nuova, un minimo di profondità nella sceneggiatura, personaggi meno bidimensionali o dinamiche diverse da quelle già viste in mille telefilm americani  (la bella contesa tra il protagonista e il bullo, il nerd vessato dai compagni di scuola).

Forse anche il pubblico più giovane è troppo esigente per accontentarsi di questo. O forse no. Al box office l’ardua sentenza.