Cerano grandi aspettative su Il cigno nero, thriller psicologico ambientato nel mondo della danza con protagonista una Natalie Portman candidata allOscar. Come previsto, lattrice si è portata a casa la statuetta grazie alla sua interpretazione di Nina, ballerina esile e diafana, perseguitata da un distorto ideale di perfezione, che danza in punta di piedi sulle note del celeberrimo Lago dei Cigni.

Il film di Darren Aronofsky pesca nella letteratura fantastica americana (il racconto William Wilson di Edgar Allan Poe), nella psicologia di Freud, nel Fantasma dellOpera e nel genere horror, per raccontare una storia giocata sul confine sottile tra sogno e realtà. Nina, ballerina di grande talento, è piena di inibizioni, vive imponendosi regole severe ed è oppressa da una madre inquietante, che la controlla giorno e notte e la chiama la mia bambina.

La sua camera è bianca e rosa come le scarpette da ballo, e la sua vita si svolge tra diete ferree e prove massacranti, alla ricerca della perfezione. Quando a Nina viene offerta la sospirata parte della principessa rapita da Rothbart in una nuova, rivoluzionaria versione del Lago dei cigni, il doppio ruolo di Odette e Odile la mette in crisi. Lei, algida e casta, è perfetta come cigno bianco ma inverosimile come cigno nero: deve imparare a calarsi nel mondo della seduzione e del male, scendere negli inferi degli impulsi repressi, degli incubi e delle paure, per trovare la sua parte perversa e risultare credibile al pubblico. Ad aiutarla ci pensano il direttore artistico Leroy (Vincent Cassel) e la bella Lily (Mila Kunis), ballerina sensuale e sregolata che rappresenta la sua controparte oscura, laltra se stessa che Nina ama e odia allo stesso tempo, fino a restare intrappolata nella sua stessa ossessione.

Cercando il cigno nero, la protagonista affronta linferno, si distrugge fisicamente e, quando finalmente lha trovato, è troppo tardi per tornare indietro. Non si può vivere con due personalità, puri e perversi, timidi e selvaggi, innocenti e crudeli. Non cè dubbio che Aronofsky sappia raccontare lossessione della danza, che ingloba la vita dellartista e lo rende un po folle, chiuso in se stesso, incapace di affrontare la realtà. Ma lesplorazione del mondo dei sacrifici richiesti dal mestiere diventa ben presto horror psicologico, mentre Nina si confronta con il suo doppio, che la terrorizza negli specchi, in metropolitana, a letto e sul palcoscenico.

La composizione visiva è studiata nel dettaglio per esaltare il tema del doppio: vetri e specchi sono presenti in ogni scena, così come i colori bianco e nero (i due cigni, lo yin e lo yang, il Bene e il Male). Peccato che, in nome dell’esplorazione degli abissi psicologici di Nina, il regista indugi in modo eccessivo su baci tra donne e scene di autoerotismo, che nulla aggiungono alla trama e, anzi, risultano fastidiose e disturbano lo spettatore. Il fascino visivo delle coreografie non basta a riscattare l’immagine cupa e negativa del mondo della danza, che finisce per essere rappresentato come un inferno di malati di mente, distrutti dall’ambizione e da un rapporto sbagliato con il proprio corpo.

 

Come già in Scarpette Rosse di Michael Powell, ne Il cigno nero l’arte diventa qualcosa per cui si può morire: un principio che toglie al personaggio qualsiasi possibilità di riscatto. E così l’angosciante storia di Nina, bambina che non riesce a diventare donna, incapace di amare se stessa e gli altri, si srotola prevedibilmente verso l’ineluttabile finale, dove la ballerina si identifica con il suo personaggio e raggiunge la sospirata, agghiacciante e distruttiva perfezione.