In poco più di un mese questa è la terza volta che la questione si ripropone. Prima cè stata lidea di Alessio Butti, capogruppo Pdl in Commissione di Vigilanza, di impedire di trattare lo stesso argomento in due talk show diversi nella stessa settimana (se al lunedì Bruno Vespa si fosse occupato di giustizia, nei giorni successivi Floris, Santoro e Paragone non avrebbero potuto farlo). Poi è arrivata la pensata delle conduzioni a targhe alterne per consentire lalternanza di un giornalista di orientamento contrario a quelli attualmente in video (in pratica, dimezzare il numero di puntate di Ballarò, Annozero, LUltima parola, In mezzora).
Infine, ecco lapplicazione della par condicio ai talk show di approfondimento (lobbligo di ospitare tutti i rappresentanti delle liste in lizza alle amministrative del 15 maggio). E lo stesso escamotage che già lanno scorso portò alla sospensione dei soliti Ballarò, Porta a Porta eccetera per limpossibilità ad ospitare tutti i candidati e che, sia il Tar del Lazio allora, sia lAgcom, laltro giorno, hanno giudicato improponibile. Perché il regolamento delle Tribune politiche rubriche di servizio di comunicazione dei programmi elettorali non è applicabile ai talk show di attualità. Con la stessa argomentazione, ieri il presidente della Commissione di Vigilanza Sergio Zavoli ha rigettato la proposta della maggioranza. Tre tentativi in poche settimane, finora andati a vuoto, di spegnere linformazione politica. E facile prevedere che la partita andrà avanti ancora, con altre pensate.
In fondo, con sfumature e tecniche diverse siamo sempre dalle parti di Sofia, la città dalla quale il 18 aprile 2002, Berlusconi lanciò il famoso editto bulgaro accusando Biagi, Santoro e Luttazzi di fare un uso criminoso della televisione pubblica. Allora, zelanti esecutori diedero seguito alla richiesta di non permettere che questo avvenga, togliendo dal video i destinatari delleditto. Se si fosse imboccata una strada diversa – magari delle sanzioni, delle lettere di richiamo, il diritto di replica – forse oggi non ci troveremmo ancora in questo impaccio. Perché, fatte le dovute distinzioni, nove anni dopo stiamo ancora assistendo al braccio di ferro tra una parte politica e il mondo dellinformazione, compreso quello che non milita nelle schiere di Santoro & Co. Infatti, eccessi e faziosità stigmatizzabili a parte, è convinzione anche dei giornalisti moderati che mettere la sordina o sospendere i talk show, per giunta alla vigilia delle elezioni amministrative – e qualcuno, non troppo malignamente, ha notato anche dei processi al premier – è un provvedimento illiberale che restringe i confini del confronto democratico e della circolazione delle idee. Tanto più in un momento in cui ce nè maggior bisogno.
Se il mondo della politica è diffidente verso l’informazione televisiva in buona fede, e c’è da dubitarne, allora significa che, come minimo, soffre di paternalismo nei confronti del pubblico. I telespettatori che si cibano quotidianamente di reality show e programmi di gossip, avrebbero invece bisogno della tutela della par condicio, appena si affaccia la politica. Come se lasciato il Grande Fratello o La Vita in diretta, improvvisamente perdessero ogni spirito critico. O come se, appena si comincia a parlare di politica, il telecomando, il più democratico degli strumenti, si rompesse.
Molto più probabile che certa politica voglia mettere il bavaglio all’informazione ostile. Ma qui si apre un altro ragionamento. Nei 17 anni della Seconda Repubblica il centrodestra ha potuto gestire per lunghi tratti anche il servizio pubblico televisivo. Tuttavia, anziché preoccuparsi di far crescere giornalisti e conduttori in grado di proporsi in modo autorevole e credibile come alternativa a Santoro & Co, si è dedicato principalmente a limitarne l’influenza con provvedimenti più o meno censori. Finendo, tra l’altro, anche per danneggiare i conti della Rai che, con Ballarò, Annozero, Porta a Porta, Report eccetera, registra ascolti elevati (in crescita di stagione in stagione) e con la pubblicità incassa molto più di quanto spende. Non sarebbe stato meglio impegnarsi a individuare il famoso “Santoro di destra” da contrapporre a quello che vediamo tutti i giovedì sera su Raidue?
Per fortuna, con il ritorno di Giuliano Ferrara sulla rete ammiraglia della Rai e in un orario di massimo ascolto, qualcosa si sta muovendo. E qualcosa dovrebbe accadere anche con il varo dell’atteso programma di Vittorio Sgarbi. Infine, si potrebbe anche pensare a sostenere meglio L’Ultima parola di Gianluigi Paragone, provandolo in un orario più potabile.
Insomma, i modi per consolidare il pluralismo e rappresentare al meglio tutti gli orientamenti dei telespettatori che pagano il canone non mancano. Ciò che conta è che sia chiaro il criterio: le voci vanno sempre aggiunte, mai diminuite.