Zack Snyder, dopo il bel remake de L’alba dei morti viventi, si è fatto rapidamente un nome, riuscendo a incunearsi nel nuovo cinema digitale ed extra-corporeo come dimostrano l’ipertrofico 300 e il più riflessivo Watchmen: il suo nuovo film, Sucker Punch, prova a piazzarsi nel mezzo cercando di creare un mondo rutilante ed esplosivo visivamente in cui però provare a raccontare mondi mentali (vicini a Inception di Nolan) e parabole esistenziali.
Dopo la morte dei genitori, Babydoll aggredisce il viscido patrigno e viene rinchiusa in manicomio; qui si crea una fantasia in cui le compagne di detenzione sono ballerine di uno strip-club che l’aiuteranno ad attuare un piano di fuga: per poter riuscire in ogni operazione sfrutteranno il ballo ipnotico di Babydoll e i suoi sogni di guerra apocalittica e avventura devastata.
Dramma dickensiano frullato col fantasy, azione da videogioco e musica da videoclip scritto da Snyder con Steve Shibuya cercando di rendere fruibile e pop una serie di scatole cinesi che va da Ragazze interrotte a The Ward di Carpenter passando perfino per la Salomè della Bibbia.
La struttura a matrioska, con tre strati di realtà (manicomio, night-club, campi di battaglia virtuali) tutti dentro la mente di Babydoll, serve al film per raccontare una storia di femminismo collettivo, una parabola sull’amicizia e lo squallore di un mondo di uomini, che però nelle mani di Snyder diventa anche una pellicola sul rapporto tra realtà e rappresentazione, sulle facce molteplici che celano la verità: e così l’inizio col sipario aperto permette di incorniciare un’opera che oltre al teatro, corteggia il videoclip (colonna sonora di Tyler Bates e Marius De Vries costituita interamente da cover composte per l’occasione, non a caso) e il videogame.
E il continuo slittamento in racconti, mondi, linguaggi e forme diverse diventa, grazie alla sceneggiatura, anche una riflessione sul racconto, sui ruoli, sul protagonismo (“Non è mai stata la mia storia, è la tua”, dice verso la fine Babydoll a Sweet Pea); peccato che la ricchezza narrativa e concettuale venga limitata da una struttura fin troppo ripetitiva, che Snyder asseconda con un collage di sequenze a effetto e scene d’azione mai memorabili.
È bravo però a gestire il crescendo e quando il meccanismo diventa finalmente personale, “intimo”, emotivo, allora riesce a rendere Sucker Punch un bel film – oltre che un lussuoso giocattolo -, che il gruppo di fascinose attrici (con Abbie Cornish a rubare lo sguardo dello spettatore) interpreta come una squadriglia speciale, misto di sensualità esplosiva e fragilità.