Valerie abita in un villaggio che da secoli è sconvolto dalle frequenti morti causate da un lupo mannaro. la più bella ragazza di tutto il villaggio, tantè che viene offerta in sposa a Henry, figlio del fabbro, cosa che permetterebbe alla ragazza di elevarsi socialmente, visto che il padre mantiene la famiglia facendo il boscaiolo. Lei però è segretamente innamorata di Peter, amico dinfanzia e boscaiolo insieme al padre. Sullo sfondo di questo triangolo sentimentale compare, però, lombra minacciosa dello spietato lupo mannaro e quella – forse ancora più pericolosa – di Padre Solomon, luomo che ha il compito di catturarlo.

Dopo aver coraggiosamente abbandonato la serie Twilight a cui aveva dato il via con il primo capitolo (che rimane il migliore – ed è tutto dire), Catherine Hardwicke ritorna dietro la macchina da presa con una nuova favola dalle tinte horror, seguendo, da una parte, la moda delle favole dark cominciata dallorrendo Alice in Wonderland, e, dallaltra, proprio il triangolo amoroso che ha fatto la fortuna di Twilight.

Ed ecco quindi arrivare nelle sale Cappuccetto Rosso sangue (il sangue del titolo è solo nella versione italiana), prodotto poco convincente a partire da una sceneggiatura decisamente debole. Firmata da David Johnson (Orphan), essa mostra sin dallinizio i due problemi più evidenti, ovvero il dejàvu che risveglia la storia del triangolo amoroso (peraltro narrativamente mal gestito) e lintreccio mistery sulla scoperta della vera identità del lupo mannaro.

Se il primo è stato inserito solo per scopi commerciali (ovvero attirare in sala le fan di Bella ed Edward) e, tra laltro, non viene nemmeno usato come spina dorsale per il racconto, il secondo avrebbe meritato una cura maggiore nellarchitettare lo svelamento dellidentità segreta, visto che gli indizi non sono così ben nascosti.

La regia firmata dalla Hardwicke non ha poi la forza per dare ritmo alla narrazione, come si dimostra ancora una volta impreparata nellarchitettare le sequenze più action. Nonostante qualche buona intuizione a livello visivo (la mantella rossa sulla neve), essa scivola costantemente nel piattume più assoluto e, inoltre, la Hardwicke non la si può nemmeno perdonare per la direzione degli attori, visto che le performance di un cast non proprio cane (Virginia Madsen, Billy Burke, Julie Christie) risultano essere decisamente sottotono. Anche il sempre carismatico Gary Oldman si ritrova nei panni di un personaggio stereotipato, salvato in corner da una recitazione sopra le righe che ha il merito di donare un po di tiepida follia al personaggio.

Discorso a parte merita il cast adolescenziale: se i due bamboccioni (Shiloh Fernandez e Max Irons) scompaiono dalla nostra mente nell’esatto istante in cui i loro nomi sfuggono dallo schermo, la bellissima Amanda Seyfried è utilizzata sotto le sue potenzialità. Se la Hardwicke sfrutta al massimo l’affascinante turbamento del suo volto in primi piani che mozzano il fiato, non si può dire che faccia lo stesso con le sue doti recitative, qui quasi del tutto azzerate.

La pellicola riesce a prendersi le sue brutte parole anche per la maniera con cui viene trattato visivamente: il villaggio è di una povertà scenografica desolante, così come tutta quella neve finta che cala le vicende in un universo inverosimile. Inverosimiglianza che ritorna per tutto il film a causa di costumi non sempre adatti e di acconciature decisamente fuori luogo. Non parliamo poi del lupo mannaro in CG, pessimo sotto ogni punto di vista.

Se questa nuova moda delle favole dark deve ammorbarci ancora per qualche anno, speriamo solo che lo faccia con prodotti migliori di questo…