Per raccontare la Storia, specie con implicazioni belliche, come un noir o un thriller serve un notevole rigore, estetico, morale, politico, altrimenti si finisce per fare obbrobri come Il sangue dei vinti di Soavi: Rachid Bouchareb, regista franco-algerino di successo, con il suo Uomini senza legge non riesce nell’impresa di Spielberg in Munich, ma ha sufficiente mestiere, se non talento, per raccontare una storia discussa e controversa senza cadere nella propaganda spicciola.
Dopo la seconda guerra mondiale, i francesi rispondono a manifestazioni indipendentiste in Algeria con quello che verrà chiamato il massacro di Sètif (si parla di 20,000 morti); tre fratelli decidono di emigrare in Francia per costituire un Fronte di Liberazione Nazionale che porti la nazione all’indipendenza da Parigi. Ma la lotta armata è ostacolata dal governo francese e chiederà il suo tributo di sangue.
Seguito ideale di Days of Glory (uscito solo in dvd) dello stesso regista, con personaggi che si chiamano allo stesso modo, anche se non è specificato siano gli stessi, è in pratica un gangster-movie scritto da Bouchareb per raccontare la guerra più o meno civile che darà vita al movimento per l’indipendenza algerina raccontato anche da Pontecorvo ne La battaglia di Algeri.
Il film, aperto dal famigerato massacro che ricorda filmicamente quello di Portella della Ginestra, racconta il processo di nascita e crescita del Fln, i suoi scontri prima con il Mna (il partito lealista verso il colonizzatore francese) e poi con la polizia del generale De Gaulle, la crescita del movimento e parallelamente le differenze tra i tre fratelli, politiche e umane; e in questo senso è molto bella tutta la storia parallela di Said, la sua voglia di emanciparsi dalla povertà attuata tramite il pugilato e come questo interferisca con la lotta armata (il suo pugile è algerino, ma combattendo sotto la bandiera francese, favorisce il nemico) fino a una cupa conclusione. Che non è a caso è il vero finale del film, più che il precedente scontro a fuoco con la polizia o la successiva repressione in metropolitana.
Anche perché la sceneggiatura fa fatica a equilibrare i risvolti storici con la narrazione da polar, eccede in romanzesco e già paragonare la lotta per la liberazione a uno scontro tra guardie e ladri (con le opposte fazioni che usano gli stessi metodi violenti) è di per sé discutibile; Bouchareb, dopo la piccola e delicata storia di London River, torna all’epica e alla Storia e non si può dire non faccia fatica, nonostante la notevole produzione. Ma sa trovare guizzi e passione, e lo aiuta il cast (lo stesso del film del 2006) capeggiato da un granitico Sami Buajila e dall’eclettico Jamel Debbouze. Il film si è guadagnato una candidatura all’Oscar lo scorso marzo, battuto da In un mondo migliore di Suzanne Bier.