A due anni dalla sua ultima prova registica, il regista polacco Jerzy Skolimowski torna con Essential killing, film crudo ed essenziale che va alla radice dell’uomo con una storia di sopravvivenza, dove la natura si mostra in tutta la sua bellezza e in tutta la sua ferocia.
La storia è presto detta: dopo aver ucciso alcuni uomini, un talebano è inseguito dalle forze speciali statunitensi per la desolazione arida dell’Afghanistan. Una volta catturato, l’uomo viene portato in un carcere di sicurezza e torturato. Durante un trasferimento in Polonia, però, l’uomo riesce a fuggire rifugiandosi nella fitta boscaglia innevata che lo circonda.
Ciò accade nei primi dieci minuti di pellicola in cui il nostro protagonista sta perennemente in silenzio ed è tormentato da un doloroso fischio all’orecchio, status fisici che non lo abbandoneranno per tutto il resto del film. Film che continua con il nostro uomo braccato e in fuga, costretto a tutto pur di sopravvivere perchè, come Skolimowski esplicita sin dal titolo, l’essenziale per la sopravvivere è uccidere.
Skolimowski liquida nei minuti iniziali l’apparente sottotesto politico, descritto con i suoni e le frasi banali del cinema americano, per trasformare quello che noi vediamo come un talebano, in un semplice uomo: il regista riporta all’essenziale la figura del protagonista, la spoglia di ogni ideale, di ogni fede religiosa e di ogni connotazione politica. Ne fa semplicemente un uomo in fuga che combatte per tenersi aggrappato alla propria vita e alla propria libertà.
Skolimowski realizza un film di rara essenzialità compositiva (capace quasi di sfociare nel minimalismo con le sue desolazioni di neve bianca tagliata dai tronchi degli alberi o dalla fugace apparizione di un cavallo insaguinato), con una sceneggiatura ridotta ai minimi termini (così come i dialoghi) dove il tutto viene affidato al ritmo solido e coinvolgente del racconto di una fuga, l’espediente narrativo che il regista utilizza per andare a fondo del personaggio.
Essential killing è anche la prova definitiva (e purtroppo invisibile) del talento attoriale di Vincent Gallo. L’attore offre una performance di rara intensità, dipingendo il suo volto con la paura e la violenza che intrappolano il suo personaggio, mentre il suo corpo martirizzato corre tra la neve sanguinante, zoppicante, ansimante. Premiato con la Coppa Volpi a alla Mostra di Venezia nel 2010, Vincent Gallo stupisce per il coraggio e la profondità con cui affronta il suo personaggio senza nome, senza diritti, senza parola, sintetizzato e retrocesso ad animale, a dolorante mammifero in fuga, capace del peggiore dei gesti pur di proteggersi.
Dopo essere stato presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 2010, il film non ha trovato nessun distributore italiano disposto a farlo uscire in sala. Per fortuna a farlo vedere al pubblico del nostro Paese ci ha pensato la Cineteca di Milano, che ha inserito la pellicola in un’interessante rassegna dedicata al regista polacco.