Basta mettere insieme alcune dichiarazioni di importanti giornalisti vicini al Pdl e il quadro è preciso. In materia di televisione, il centrodestra è tendenzialmente reazionario. Incapace di promuovere una cultura propria, mentre è assai più incline all’ostruzionismo nei confronti di quella della sinistra.

Maurizio Belpietro (all’adunata dei “liberi servi” promossa da Ferrara): “In diciassette anni di attività politica, Berlusconi non ha riformato la giustizia e non ha riformato la Rai”. Pietrangelo Buttafuoco (in un’intervista a Il Giornale): “Ritengo che, in tema di tv, la destra in genere e Berlusconi in particolare abbiano svolto un solo ruolo: fare da ufficio stampa a Santoro”. La terza riflessione è di Marcello Veneziani (su Il Giornale): “L’anti Santoro di destra non esiste perché Berlusconi non lo vuole”.



Ecco, in questo caso, mi permetto umilmente di dissentire: l’anti Santoro di destra non esiste soprattutto perché la destra non è stata in grado di produrlo. In realtà, negli ultimi dieci anni, subito dopo l’editto bulgaro (aprile 2002) parecchi tentativi sono stati fatti. Da Antonio Socci a Giovanni Masotti, da Gianluigi Paragone a Vittorio Sgarbi, per citarne alcuni. Tra tutte, certamente, l’esperienza più rispettabile è stata quella di Excalibur, realizzata da Socci. Ma anche in quel caso mancarono pazienza e disponibilità nel far crescere professionalità e carisma televisivo.



La vicenda di Sgarbi, invece, la più deludente considerate le premesse, il blasone e l’impiego di risorse (pubbliche), aiuta a comprendere come non sia vero che Berlusconi non voglia l’anti Santoro di destra. Da qualche tempo, proprio Sgarbi è assiduo frequentatore di Berlusconi nella sua villa di Arcore e a Palazzo Grazioli. Ne rivendica l’amicizia. Ne ha tratto consiglio anche per la realizzazione del suo programma, sospeso dopo una sola puntata. La destra vorrebbe produrre un’alternativa televisiva credibile. Però: un po’ non ci crede fino in fondo e un po’ non ne è capace.



Com’è stato sapientemente scritto anche su ilsussidiario.net, i vari Santoro, Floris, Gabanelli sono frutto di una cultura radicata – il sessantottismo – che non s’improvvisa da un giorno all’altro. La sinistra televisiva è frutto di qualcosa che viene da lontano e si è consolidato, raffinato e rafforzato anche in termini di audience, in anni di polemiche, contrasti e tentativi più o meno riusciti di ridimensionamento. Ed è un argomento fuorviante protestare il rifiuto di pagare certi programmi con il canone.

I programmi nel mirino della critica del centrodestra sono sempre in attivo. Finanziano la Rai anziché esserne finanziati. Inoltre, esiste il telecomando e ci si può sempre sintonizzare su Qui Radio Londra, Porta a Porta, L’Ultima Parola. Non si paga il canone se si apprezzano tutti i programmi, dal primo all’ultimo. Ma se si ritrova nel servizio pubblico qualcosa che gli altri network non offrono.

Se in buona parte del Paese, per qualche tempo si è sperato che l’egemonia culturale della sinistra avesse iniziato la sua fase calante, in televisione questo tramonto non è mai cominciato. La destra si è espressa attraverso il potere di veto, incapace di proporre personalità autorevoli e credibili. Al governo in politica, è rimasta all’opposizione in tv. Anzi, per meglio precisare: il berlusconismo ha tentato, senza riuscirci, di rovesciare il tavolo attraverso i reality show, l’infotainment, i programmi di cucina che hanno invaso tutti i palinsesti. In sintesi, attraverso il consumismo relativista.

È da questi programmi che il berlusconismo è stato rappresentato in questo decennio (Il Grande Fratello venne trasmesso per la prima volta da Canale 5 nel Duemila, conduttrice Daria Bignardi, responsabile della promozione Fabrizio Rondolino, ex uomo di Massimo D’Alema). Ma ora che i format hanno imboccato la fase discendente, quel tipo di televisione soddisfa prevalentemente gli strati medio bassi della popolazione. Il pubblico più istruito si condensa su La7, Raitre e Sky. Così il mancato salto di qualità del berlusconismo nel campo dell’informazione, rende ancor più dolorose le tante occasioni perse.

Come già stiamo vedendo in questi giorni, è assai probabile che la filosofia dell’ostruzionismo tornerà prepotentemente di moda.