Un ennesimo prequel, la ripartenza di una serie fin dalla gioventù dei protagonisti: idea all’apparenza malsana, specie dopo il criticatissimo (ma godibile) Wolverine, ma che diventa vincente con il ritorno alla produzione di Bryan Singer (regista dei primi due film della serie) e la regia affidata a Matthew Vaughn che prima con Stardust e poi con Kick Ass aveva convinto e affascinato il pubblico degli appassionati.
Charles Xavier è un telepate che, assieme all’amica mutaforma Raven, viene ingaggiato dalla CIA per cercare altri mutanti: con loro c’è Erik, un rabbioso e vendicativo uomo magnetico che vorrebbe trovare Sebastian Shaw, l’uomo che nel campo di concentramento in cui era rinchiuso fece i primi esperimenti su di lui. E che 20 anni dopo cerca di distruggere il mondo per far emergere la razza mutante.
Su soggetto di Sheldon Turner e Singer, Asshley Miller, Zack Stentz, Jane Goldman e il regista scrivono una sceneggiatura che sposta agli anni ’60 non solo il calendario, ma anche l’ispirazione alle storie a fumetti di quel periodo e all’immaginario di James Bond. Al centro dello scontro, infatti, c’è la guerra fredda che in quegli anni nucleari rischiava di diventare caldissima e un Fire Club che, nella volontà di scatenare la guerra tra Usa e Urss, sembra la versione mutante della Spectre, ma i richiami allo spionaggio à la Ian Fleming abbondano tanto nel racconto quanto nei richiami visivi (la fascinosa Emma Frost sembra uscita dai titoli di Una cascata di diamanti, i titoli di coda paiono la versione high-tech di quelli di Licenza di uccidere): un azzeccato restyling che rinfresca il tono della serie e permette di lavorare sui temi dell’identità e dell’accettazione del sé attraverso la storia esterna alla serie, prima che quella interna, divisa tra una democrazia a tutti i costi e una dittatura difensiva, prenda il sopravvento.
La sceneggiatura nella prima parte fa un po’ i salti mortali per raccogliere i molti personaggi e definire il conflitto principale (che ovviamente non è quello tra i buoni e i cattivi, ma tra Xavier ed Erik, futuro Magneto), poi fila via liscia e avventurosa come si deve e permette a Vaughn di dimostrare la sua notevole intelligenza registica (il controcampo con cui lo studio di Shaw, all’inizio, si svela una sala torture) che nel finale recupera l’ambiguità morale e politica su cui l’intera saga si basa.
Che si può ridurre a un quesito: come si fa a non tifare, o perlomeno a non comprendere Magneto? Tanto più se ha il carisma di Michael Fassbender (che sostituisce Ian McKellen), che batte per sguardo e volto il pur bravo James McAvoy (fu Patrick Stewart): gli ormoni maschili si possono consolare con la morbida Jennifer Lawrence (che è una competente attrice, per inciso) e una Zoe Kravitz che speriamo di ammirare di più nei prossimi capitoli.
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