Non a tutti i registi orientali che tentano la fortuna in Occidente la ruota gira nel verso giusto: a fronte di un John Woo comunque tornato in patria e di un Ang Lee, ci sono registi come Wayne Wang che dopo un’impennata con il dittico di Auster, Smoke e Blue in the Face, ha ripiegato su prodotti industriali di facile e corrivo consumo. Col Ventaglio Segreto tenta invano di dare una svolta sensata alla sua carriera.
Due storie parallele, segretamente legate tra di loro: quella di Fiore di Neve e Lily, due bambine amiche nella Cina del 19 secolo i cui destini prenderanno vie separate e drammatiche; e quella di Nina e Sophia che nella Shanghai contemporanea vedono la loro amicizia complicata dall’amore e dalla carriera.
Il vendutissimo romanzo di Lisa See è la base su cui Angela Worman, Michael Ray e Ron Bass hanno scritto un dramma metà storico e metà urbano, tra melodramma e cornice d’epoca, che riflette sulle segrete vie che legano i destini di ognuno di noi alle più profonde amicizie e su come la storia si tramandi in modi inconcepibili.
Il concetto attorno al quale infatti gira il film è il laotong, un legame di amicizia tra due donne, più forte di una parentela che si esprime attraverso il nu shu, il linguaggio segreto delle donne cinesi (qui ricalcato fedelmente attraverso la consulenza dell’ambasciatrice del nu shu) spesso scritto su ventagli, come quello segreto alla base del film: un forte inno alla sorellanza dunque, all’intimità tra due donne che diventa più forte di ogni elemento esterno, che Wang però non riesce a condurre al di fuori della piatta accademia, preferendo il décor, le scenografie di Molly Page e la cura fotografica di Richard Wong, al progredire anche sottile delle emozioni.
La sceneggiatura non riesce fino in fondo a far emergere i risvolti più interessanti dei temi trattati, oltre a mischiare molto disinvoltamente il cinese e l’inglese nella parte contemporanea, mentre la regia vira presto sull’andamento soporifero tipico delle co-produzioni con intenti artistici, in stile Seta per intenderci. Da qui il piccolo e poco comprensibile cameo di Hugh Jackman in vesti di ricco australiano canterino (in pratica se stesso): che comunque è più incisivo tanto di Gianna Jun, quanto di Bing Bing Li, attrici composte che non riescono, come il film, a fare un passo in più del consueto.