Detroit e la Beat the World Competition. E crew dance che in ogni angolo del mondo provano e riprovano le coreografie con cui cercheranno di stupire pubblico e giuria. Inseguendo il sogno di diventare campioni del mondo. Che non è solo un titolo, bensì la conclusione – o il punto di partenza – di una storia di affermazione, riscatto sociale, integrazione. Un modo e un linguaggio per urlare a tutti la propria presenza, il proprio ruolo e valore. Senza prepotenza, ma al ritmo della passione e di emozioni che trovano forma in uno scatenato incrocio tra corpo e musica.
Questa storia parte da ogni scantinato, tetto, garage agibile che abbia una presa per la musica e spazio a sufficienza per trasformarsi da ragazzi qualunque a dancers di professione. O aspiranti tali. Windsor – Ontario -, Berlino, Rio de Janeiro. Sono solo tre delle città in cui tutto ha inizio. E i protagonisti sono i Fusion, i Flying Steps – campioni del mondo in carica -, i Revolution. Oltre a molte altre crew. Ciascuno con il proprio sogno nel cassetto.
I Fusion di Yuson, che ne è il leader, quello di combinare finalmente qualche cosa di buono. Di far vedere che sì, ci sono anche loro. E che per avere voce in capitolo nel grande discorso del mondo non bisogna per forza aver lanciato in aria il cappellino alla fine di qualche cerimonia di consegna dei diplomi. Perché nella vita ci può essere anche altro. O, meglio, tutto sta nel riconoscere in che cosa si è bravi veramente e concentrare le energie in quella direzione. Oltre al fatto che non bisogna aver paura della novità, di ciò – sia persona o cosa – che è diverso da noi.
per questo che Yuson – americano e nero – chiede al bianco e londinese Justin di insegnare a lui e alla crew il suo stile ai limiti dellestremo e del possibile. Il tutto per essere i numeri uno e battere lo spaccone Eric, campione in carica insieme ai suoi Flying Steps. Lui, che crede di essere invincibile e di non aver niente da imparare, solo molto da insegnare. Ai Fusion come ai Revolution, che, con il loro sangue made in Brazil e il cuore di chi ha bisogno di quel premio in denaro per togliersi dalla miseria delle favelas, è pronto a scuotere i propri corpi in unesplosione di energia latina.
Tutto alto e nobile, compreso il sentimento di Yuson per la sua bella, intelligente e intellettuale Maya. Che con un fisico da schianto e gli occhi da cerbiatto è pronta anche lei a intraprendere la strada del suo personale riscatto sociale. Lasciare Windsor per una delle più prestigiose Università americane. E Yuson?
This is beat compie parecchi miracoli. Punisce i cattivi, fa innamorare i buoni e spazza via i dislivelli sociali con un pizzico di amore e un tocco di integrazione. Perché è giusto che, almeno ogni tanto, il mondo premi i buoni e punisca i cattivi. E vissero tutti felici e contenti.
Ma questo non basta a rendere il film uno di quelli che vale la pena vedere. Anche d’estate, quando la programmazione è più scarna – o scarsa?. Nonostante i nobili sentimenti, This is beat resta piccolo e sacrificabile. Ed è un peccato, poiché per quanto il genere di appartenenza non sia da antologia cinematografica, avrebbe potuto emozionarci veramente. Convincendoci che davvero, se vuoi, ce la puoi fare.
Invece, la trama è semplice e scontata – elemento giustificabile dato il contesto descritto e il genere -, ma soprattutto è lineare e non priva di luoghi comuni, lontana quanto basta da Save the last dance e dagli Step Up che hanno fatto battere i cuori degli adolescenti.
Resta una malinconica. L’unico motivo per cui vale la pena spendere i soldi del biglietto sono le coreografie delle crew. Quelle sì, sono uno spettacolo.