Tra un polpettone natalizio e il solito action movie americano, nelle nostre sale si affaccia timidamente Emotivi anonimi, un film francese che nasconde sotto una veste apparentemente contemporanea i toni della fiaba. Il regista Jean-Pierre Ameris dirige la storia di due timide anime gemelle che si incontrano per salvare una cioccolateria in crisi, in unatmosfera quasi antica e venata di realismo magico.

Il sipario si apre su Angélique, una giovane artista del cioccolato che soffre di uninsicurezza cronica e frequenta il gruppo degli Emotivi Anonimi per provare a vincere le sue paure. Rimasta senza lavoro, è costretta a mettersi in gioco presentandosi in una piccola azienda che il proprietario, Jean-René, sta cercando di salvare dal fallimento. Nel colloquio, però, Angélique non riesce a esprimersi e finisce per essere assunta come rappresentante, un ruolo che la mette in grande difficoltà: come può una persona patologicamente timida convincere i negozianti a comprare i prodotti di una ditta che sta per chiudere?

Apparentemente rigido e severo, Jean-René nasconde a sua volta un segreto. seguito da uno psicoterapeuta che lo sta aiutando a superare un blocco emotivo, una timidezza che sconfina nellasocialità. Il dottore gli affida dei compiti, spingendolo a invitare una donna a cena, a toccare qualcuno, a non fuggire e Jean-René decide di mettersi alla prova con Angélique dai boccoli biondi e dai vestitini fuori moda, che non disdegna le sue attenzioni. I due bravissimi attori (Benoît Poelvoorde e Isabelle Carré) arrossiscono, sudano, si imbarazzano, balbettano e si fraintendono, cercando goffamente di superare la gabbia emotiva dentro cui sono rinchiusi per conquistare una reale intimità.

Come già nel film di Lasse Hallström (Chocolat) tratto dal romanzo di Joanne Harris, il cioccolato si sposa alla perfezione con il gusto francese per la favola cinematografica, dando vita a una storia old style che tocca però un tema universale e condiviso. I gruppi di emotivi anonimi come quello frequentato dalla protagonista esistono davvero, nascosti tra le pieghe di una società che esalta gli spavaldi, gli arroganti e gli arrivisti. Lo stesso regista ha dichiarato di soffrire di timidezza e di avere riversato la sua esperienza nel film, accentuando la verità dei meccanismi psicologici dei personaggi.

Cercando di rendersi invisibile, la coppia finisce per attirare l’attenzione secondo un meccanismo ironicamente reale, qui accentuato dai toni comici e dall’escamotage dell’identità mascherata (Angélique è un’artista del cioccolato, ma si cela dietro la figura misteriosa dell’eremita).

A spiazzare è forse la rapidità dell’innamoramento, che sembra quasi un esperimento più che un tuffo nel vuoto. Il regista ci porta troppo brevemente nella vita familiare di Angélique, lasciandoci intuire i motivi della sua ritrosia che si manifesta in una passiva accettazione degli eventi, più che in una chiusura alle emozioni. L’assenza di complessità e di tensione narrativa rischia di smorzare l’empatia, sfociando in un lieto fine quasi fanciullesco in cui i protagonisti ricreano un mondo tutto loro. Resta un film delicato, molto europeo, che si guarda con piacere sorseggiando una tazza di cioccolata calda.