Esce oggi, 13 gennaio 2012 nelle sale italiane L’Industriale (ieri nei cinema di Genova come omaggio del regista alla sua città), il film diretto da Giuliano Montaldo. L’opera racconta il dramma dell’imprenditore Nicola (Pierfrancesco Favino), proprietario di una fabbrica, ereditata dal padre, sull’orlo del fallimento. È strangolato dai debiti e dalle banche, in una Torino che vive la crisi economica che sta mettendo in ginocchio l’Italia. Oltre al dramma del lavoro, Nicola sta perdendo l’unica certezza che gli era rimasta, il rapporto con la moglie Laura (Carolina Crescentini), sempre più irrimediabilmente distante. Il film racconta una drammatica pagina che coincide con la realtà che oggi stanno vivendo molti imprenditori e operai in Italia, la crisi, che in molti casi ha portato a gesti estremi e che, iniziando nel mondo del lavoro, può investire anche l’ambito familiare. A ilsussidiario.net il regista Montaldo racconta come è nato questo film e svela come questo lavoro l’abbia sorpreso, perché durante la scrittura e le riprese la finzione si è mischiata a un’inattesa realtà.
Maestro Montaldo, perché ha scelto di realizzare un film che racconta la crisi dal punto di vista di un imprenditore?
Quando abbiamo deciso di realizzare L’Industriale abbiamo pensato di raccontare la storia di un’azienda in cui il padre di Nicola (Pierfrancesco Favino) era un operaio eletto dai suoi colleghi leader dell’impresa. Nicola ha ereditato l’azienda, ma in fondo è un operaio anche lui. I colleghi operai del padre sono stati i suoi “padri”. Abbiamo impiegato un anno e mezzo a costruire la storia, la sceneggiatura è stata scritta nel 2010 e abbiamo cominciato le riprese nel 2011, quando la crisi non era ancora ai livelli attuali. C’erano solo forti segnali di qualcosa di drammatico che stava per accadere a livello economico e sociale. Pensavo francamente di aver fatto un film che avrebbe raccontato la storia del 2011, non un lungometraggio che può essere letto drammaticamente come racconto di ciò che sta accadendo oggi. Mentre facevamo le riprese a Torino percepivamo i segnali di ciò che oggi è la realtà, piazzali abbandonati, capannoni industriali vuoti. Qualcosa di “pesante” stava accadendo. È auspicabile però pensare che la crisi finisca, come abbiamo visto finire quelle precedenti, quando la moneta era la lira e non c’era di mezzo l’Europa. Oggi la “storia” è molto più drammatica. Abbiamo pensato di metterla sul grande schermo raccontando la storia di un imprenditore figlio di operaio, così orgoglioso al punto di voler risolvere i grossi problemi da solo, nel ricordo del genitore.
Perché ha deciso di fare le riprese de L’Industriale a Torino e non a Milano, “capitale” dell’industria e dell’economia italiana?
Nel capoluogo piemontese c’è un indotto economico e industriale legato alla Fiat piuttosto forte. Negli anni del “boom” moltissimi abitanti del Sud erano emigrati a Torino. Il papà di Pierfrancesco Favino, per esempio, era un uomo del Sud e anche altri attori vengono dal Meridione. Torino e dintorni rappresentano un’area industriale. A Pinerolo, dove abbiamo girato, ci sono poche abitazioni e moltissimi capannoni per lavorazioni e di questi la maggior parte sono ormai in disuso. A Pinerolo abbiamo girato la scena della fabbrica occupata: non avremmo potuto chiedere al proprietario di una fabbrica in crisi di farci utilizzare l’azienda, l’abbiamo chiesta a un imprenditore ancora “in sella”. Durante la notte abbiamo messo in scena l’occupazione, tutto quanto è stato così autentico nella scenografia (persino le foto dei bambini degli operai) che gli abitanti del luogo hanno creduto davvero che la fabbrica fosse stata occupata. Quando la finzione diventa realtà, c’è da temere. Continua alla pagina seguente
Quale aspetto de L’industriale lei vede che rispecchia maggiormente la realtà?
La sofferenza di chi perde il lavoro. Abbiamo pensato molto, realizzando il film, alle drammatiche notizie che arrivavano dal Nord-Est: operai diventati leader in azienda sono arrivati al punto di togliersi la vita. È una cosa terrificante, che ha segnato profondamente me e i miei collaboratori durante le fasi di lavorazione del film.
Al di là dei risultato al botteghino, cosa si aspetta dall’arrivo nelle sale de L’Industriale?
Spero che sia un film che abbia la forza di far discutere. Un film funziona, a prescindere dagli incassi, quando gli spettatori escono dalle sale dopo lo spettacolo e non vanno direttamente a casa, ma si fermano a parlare, a discutere della storia che hanno appena visto. Quando questo accade, un film ha vinto, perché porta dentro di sé la voglia di far discutere delle problematiche che l’opera stessa ha posto. Nel caso de L’Industriale, i temi sono la solidarietà e l’attenzione a dove “andremo a finire”, perché la crisi esplode anche nelle famiglie, non soltanto nella fabbriche. Come rivela la storia di Nicola, il protagonista. Ciò che spero emerga è l’aspetto della fatica che un imprenditore deve fare per mantenere la propria impresa “viva” nel suo campo. Come accade a Nicola…
(Camilla Schiantarelli)