Quando si dice battere il ferro finché è caldo. Dopo il successo travolgente che nella scorsa stagione cinematografica baciò il remake italiano del francese Giù al nord, il regista Luca Miniero rimette insieme la squadra di Benvenuti al sud, ma questa volta, come prevedibile, la trasferta avviene nella direzione opposta. Limpressione è che però loperazione sia un po meno ispirata della precedente.
Lazione parte dal paesino campano di Castellabate, dove limpiegato postale Mattia (Alessandro Siani) ha sposato la sua Maria (Valentina Lodovini) ed è padre del piccolo Edinson (in onore di Cavani), ma lassoluta mancanza di ambizione rischia di fargli perdere tutto. Tra un equivoco e laltro, Mattia si ritrova trasferito a Milano, dove lo attende Alberto (Claudio Bisio), che nel frattempo ha non pochi problemi con la moglie Silvia (Angela Finocchiaro), che lo accusa di pensare solo al lavoro. Il caso vuole che larrivo dellapatico Mattia alle poste milanesi coincida con linsediamento del nuovo terribile capo (Paolo Rossi), intenzionato ad abolire a ogni costo sprechi e inefficienze.
A un film che fa del luogo comune la sua bandiera non si può certo imputare la scarsa originalità, ma forse questo, insieme allonda del successo del primo film, ha fatto un poda alibi per non inventarsi nulla che andasse oltre lo stereotipo più spinto. Va dunque in scena una battaglia tra nord e sud fatta di aperitivi trendy contro abbuffate, iper-efficienza contro svogliatezza, fredde strette di mano contro abbracci calorosi, agende organizzatissime contro spirito di improvvisazione.
Nel mirino questa volta ci sono i milanesi, dipinti per lo più come retrogradi e razzisti, fotografati nei loro piccoli vizi quotidiani, affondando però le mani nei cliché più abusati, come ad esempio labitudine di chiamare le persone mettendo larticolo davanti al nome, a cui viene dato fin troppo spazio. Non manca in ogni caso qualche trovata carina, come il colpo di fulmine tra la nonna milanese (interpretata sempre dalla Finocchiaro) e il napoletanissimo Scapece, che vanno damore e daccordo pur parlando ognuno il proprio incomprensibile dialetto.
Buona anche la svolta data al personaggio della Finocchiaro che, abbandonati del tutto i pregiudizi e le ipocrisie del primo capitolo, si affezionerà molto a Mattia. La sensazione rimane però quella di una certa difficoltà a trovare idee che possano far decollare il film e soprattutto reggerlo per tutta la sua durata, tanto che tocca affidarsi a gag che sfociano nel grottesco, come quella di cui fa le spese il povero pesciolino rosso trasformato in sushi.
Molto più spazio in questo film viene dato al rapporto di coppia, con entrambi i protagonisti in crisi con le rispettive mogli. L’happy ending passerà attraverso l’inevitabile evoluzione interiore dei personaggi, con Siani divenuto lavoratore infaticabile e Bisio alla scoperta dei piccoli piaceri della vita che la frenesia milanese gli aveva fatto dimenticare.
Onore comunque a Miniero per aver contribuito a risollevare le sorti della commedia italiana, ma senza una maggiore ricchezza di contenuti il rischio è che la rinascita si riveli una breve illusione. meno ispirata della precedente.