La sensazione più forte che ho provato nel vedere Meryl Streep interpretare Margaret Thatcher è stato capire (un vero e proprio schiaffo in faccia) che anche una persona così formidabile rimane umana. Quando cade la maschera del potere, rimane una donna anziana che va a comprare il latte.  The Iron Lady è un bel film e Meryl Streep, anche se non fedele al 100% alla personalità della Thatcher, dà vita a un personaggio altamente credibile che ci porta nel dramma emotivo di questa straordinaria forza della natura.

Mi aspettavo molto da questo film, ma non che mi facesse venire le lacrime, come invece è avvenuto. E questo è paradossale, perché la Thatcher era caratterizzata più da pensiero e azione che da sentimenti ed emozioni: Mi si chieda cosa penso, avrebbe detto, non mi si chieda cosa sento. Un altro elemento di riflessione, che mi riguarda più personalmente, è lantipatia quasi irrazionale che ho avuto per molti anni, come tanti irlandesi, verso Margaret Thatcher. Tuttavia, da quando si ritirò nel 1990 dalla carica di primo ministro inglese mi sono gradualmente reso conto di quanto questa avversione fosse basata sulla totale incomprensione della sua personalità.

Quando arrivò al potere, alla fine degli anni 70, per i giovani era di rigore essere di sinistra e la Thatcher diventò un facile bersaglio dei disinvolti mantra alla moda: Thatcherite era in effetti il peggior insulto che, in ambito politico, si potesse rivolgere a qualcuno. I suoi duri attacchi ai sindacati, il suo risoluto atteggiamento verso i minatori in sciopero, la sua insistenza nellimpiegare massicciamente la forza militare per difendere un marginale territorio britannico nellAtlantico del Sud, la sua apparente insensibilità per gli scioperi della fame dei militanti IRA nel 1981, diedero luogo alla crescente sensazione di trovarsi di fronte a un potere oscuro, svuotato di quei sentimenti di compassione e tenerezza normalmente associati alle donne.

Ho visto pochi leader così capaci di attrarre sia disprezzo che lealtà quanto questa figlia di un droghiere dellInghilterra centrale. Questa capacità di provocare estremismi, riflesso del suo estremismo, si trasformava spesso in una specie di strano tributo alla sua personalità, pieno di contenuto emotivo. questo il caso anche diThe Iron Lady, per certi versi un brutto film, che rappresenta una persona ancora vivente come in preda a demenza senile, cosa che ha provocato molti commenti, incluso quello dellattuale primo ministro, David Cameron, che, pur apprezzando il risultato artistico, ha espresso rammarico per il fatto che il film sia uscito con il suo protagonista ancora in vita.

In Irlanda, in particolare, non si capì l’atteggiamento inflessibile verso i partecipanti allo sciopero della fame e la loro richiesta di status politico, intransigenza interpretata come la dimostrazione di una profonda antipatia verso l’Irlanda e le sue storiche richieste. In realtà, come mi hanno poi spiegato amici inglesi, la Thatcher non riusciva a comprendere il profondo coinvolgimento emotivo degli irlandesi nelle loro vicende storiche. Al pari di molti altri inglesi, la considerava una nostra stranezza, trattandosi di eredità del passato che riteneva dovessero essere affrontate con un pragmatismo spassionato, privo di emotività.

Negli ultimi anni ho letto molto sulla Thatcher, facendomi man mano un quadro molto diverso e mi sembra ora che la chiave per capire la sua personalità sia considerarla non come un politico, ma come uno scienziato (d’altra parte, è laureata in chimica). Il suo modo di operare era basato sulla pura logica e affrontava i problemi nell’ottica di ridurre i danni sul lungo termine più che andare incontro alle richieste popolari a breve. Era guidata dai principi e da un particolare senso della realtà tipici della classe medio-inferiore in cui era cresciuta.

Vedeva quindi le cose in un modo molto semplice: le miniere di carbone stavano diventando obsolete, perciò non era utile rimandare ciò che era inevitabile; negoziare con i terroristi significava aprire il vaso di Pandora di una serie indescrivibile di compromessi futuri. Mentre  gli altri politici caricavano i loro discorsi di emotività e ipocrisia, la Thatcher si indirizzava al pubblico con una logica fredda, quasi da robot, che contribuiva alla sua immagine di persona incapace di creare emozioni.

Quale sia la sua “eredità” è una questione complessa e, probabilmente, è ancora troppo presto per dire qualcosa di definitivo. Da un lato, non vi è dubbio che ha preso la società britannica per il collo dandogli un bello scrollone. Margaret Thatcher ha cambiato il significato del conservatorismo britannico. Prima di lei, il Partito Conservatore apparteneva all’establishment, alle classi medio-superiore e superiore. Con lei ha preso forma un tipo di conservatorismo che poteva essere adottato anche da persone con mezzi modesti e opportunità limitate, ma che speravano in un Regno Unito che avrebbe offerto una vita migliore ai loro figli. Bisogna riconoscere che c’è riuscita e che la sua concezione, portata avanti dal 1997 dai governi di Tony Blair, ha trasformato in meglio il Paese.

Quando nel 1979 la Thatcher diventò primo ministro, il Regno Unito era in una grave situazione, azzoppato da un socialismo sconclusionato, da un insensato sindacalismo e dagli esiti di disastrose politiche sulla casa e il welfare, con un’economia prossima al collasso. Malgrado l’attuale perdurante crisi finanziaria e i disordini dello scorso anno, il Regno Unito è oggi un luogo infinitamente migliore di quanto fosse allora e Londra è diventata di nuovo una delle capitali mondiali. Dall’altro lato, l’apparente innato fanatismo (il termine non sembri troppo forte) della Thatcher potrebbe aver contribuito in modo significativo all’attuale crisi economica. Si può infatti argomentare che Thatcherismo e Reagonomics siano sostanzialmente responsabili dell’avvento di quel neoliberismo che ha dato luogo allo sviluppo degli anni ’90, contraddistinto da individualismo sfrenato, consumismo e trading speculativo. È possibile che all’origine vi sia la personalità della Thatcher, il rifiuto estremistico del fatto che ogni progetto di cambiamento, per quanto desiderabile, deve tener conto anche di fattori opposti. Vi era senz’altro la necessità di rendere più libero il mercato, ma occorreva anche la coscienza di ciò che può succedere quando si lasciano redini libere ai desideri umani. Non era però nel suo carattere il rendersi conto di questi aspetti.

Credo che l’altro giorno, al cinema, sia arrivata una specie di riconciliazione con la Dama di Ferro: tutto considerato, Margaret Thatcher ha dimostrato grandi caratteristiche, quali decisione, coraggio, il rifiuto a farsi sommergere dai sentimenti popolari e a usare la sua condizione di donna per raggiungere i suoi obiettivi. In alcune recensioni ho notato un’incomprensione di fondo del film, che ha portato alcuni commentatori a critiche fuori luogo, per esempio su certe deviazioni dalla storia reale o sul modo in cui Meryl Streep dà qualche tocco di umorismo e leggerezza al personaggio, aspetti sconosciuti nella vita reale. Sono sorpreso che si sia tralasciata una cosa ovvia: che i flashback non si riferiscono a situazioni reali, ma sono i ricordi di una donna inevitabilmente ampliati e coloriti dal tempo e forse da un po’ di egocentrismo. Nei flashback si vede la Thatcher che ricorda se stessa, ma la Thatcher da vecchia è ritratta in un modo del tutto reale.

La Streep ci presenta non una, ma due Dame di Ferro e nel contrasto tra loro è la vera bellezza del film, il distacco tra ciò che è e ciò che era, tra ciò che si ricorda e ciò che viene suggerito dall’interferenza di un’evidente tendenza all’illusione. La debolezza del film è che la sua nota dominante è più il pathos che la tragedia, anche se sarebbe stato possibile descrivere la carriera della Thatcher come una tragedia, originata dal suo estremismo e dalla sua tendenza a isolarsi nella sua unilaterale visione della realtà. Ecco le parole che la Thatcher immagina pronunciate, con tristezza e ammirazione, dal marito morente: “Tu sei stata sempre sola.”