Possiamo star qui a discuterne per ore, ma una cosa è certa: non esistono più i medici di una volta. Ma ve li ricordate? Gente tipo il mitico dottor Kildare (nei favolosi anni 60), il dottor Gannon del Medical Center di Los Angeles (nei meno favolosi anni 70) e, in tempi più recenti, laffascinante Dr. Doug Ross (alias George Clooney) di E.R? Tipi tosti che, laureatisi a tempo di record e con il massimo dei voti, dopo un paio danni di specialità, sapevano eseguire ogni tipo dintervento. Serve una rinosettoplastica? E che ci vuole! Una laparascopia urgente? Detto fatto! Unernia iatale di grado IV? Che bazzeccola! Una calcolosi della colecisti, un varicocele o un parto cesareo? Quisquilie!

Poi, cosa è successo? Hanno forse un po riposto i bisturi negli sterilizzatori a vapore, pardon, hanno forse tirato i remi in barca? Sono entrati in crisi didentità, visto linnumerevole moltiplicarsi delle specializzazioni, a tal punto che lo specialista del pollice della mano destra incontra soverchie difficoltà appena si trova ad aver a che fare con la falangetta dellindice della stessa mano. Figuriamoci, poi, se è addirittura laltra! Spuntano così, dalla sera alla mattina, quasi come funghi, poliambulatori specialistici privati low cost: strutture – tanto per citare un esempio – che con lausilio di soli 28 medici sono in grado di eseguire un perfetto screening dei vostri arti superiori (uno per ciascuna delle 14 falangi della mano, moltiplicate per due). Il tutto a favorire sì loccupazione, ma non un impiego onorevole, rispetto ai molti anni di studio e ai sacrifici sostenuti. Pochi soldi al mese (una falange per il Servizio sanitario nazionale vale un rimborso di 0,11 centesimi di euro) per turni di lavoro massacranti.

Niente a che vedere con la comoda vita dei medici di famiglia, finiti tuttavia nellocchio del ciclone a causa di una proposta di legge del Governo che li vorrebbe disponibili 24 ore su 24, sette giorni su sette, sul proprio territorio di competenza. Quindi, la domanda sorge spontanea: visti i continui tagli alla Sanità, tenuto conto che la professione dà molti meno diritti e garanzie rispetto a un tempo, è consigliabile optare ancora per la professione medica? E che ne sarà dei medici negli anni a venire, quando potrebbero anche essere sostituiti da precisi Terminator, robot in grado di portare a termine (da qui il nome), in perfetta autonomia, operazioni chirurgiche tra le più complesse?

Abbiamo chiesto lumi a chi ben più di noi può fornire risposte serie e salutari (visto il tema) a riguardo di un tema che scotta tra le mani. Ma lo Zingarelli, seppure sia uno abituato alla roba che scotta, avendola rubacchiata qua e là in giro per il mondo, non si sbottona: Non vi so dire che ne sarà in futuro della professione medica, vivo di certezze e di presente: il futuro per me è come il condizionale e il congiuntivo, un semplice modo verbale. Restando allora al presente, i medici molto semplicemente sono quei veterinari con il camice bianco e il biglietto da visita con la scritta Dott., che curano gli uomini come fossero delle bestie e, pur non essendo cuochi, prescrivono delle ricette i cui ingredienti risultano però spesso incomprensibili, perché la scrittura di un medico neppure gli esperti di geroglifici egizi riescono a decifrarla. Compito precipuo del medico è far ammalare i sani, senza dare troppo nellocchio, così che il paziente non se ne accorga e continui a rimanere tale, cioè paziente. A guarirli ci penseranno poi i farmacisti con medicine appropriate alla specifica patologia.

La professione di medico è senz’altro la più ricca di specializzazioni, perché ogni parte del corpo è un caso a parte e, come dice il proverbio, “anche l’occhio vuole la sua parte”: quindi la professione del medico va svolta con assoluta e rigorosa oculatezza. Se il medico non conosce l’indirizzo preciso del malato da curare, si fa portare sul posto da un’ambulanza e prende il nome di medico condotto. Viene invece denominato primario il medico che risponde per primo alla domanda, posta durante apposito concorso: “Chi rurgo?”.

La professione medica, come detto, va specializzandosi vieppiù, con nuove competenze professionali che si aggiungono a quelle già conosciute. Il medico, per esempio, che cura i dipendenti della Pirelli, famosa fabbrica di pneumatici, si chiama pneumologo. Quello che cura i feriti dopo uno scontro in cui sono rimasti coinvolti uno o più tram, si chiama traumatologo. E il medico che vi legge le carte per sapere che ne sarà della vostra salute in futuro, facendovi prendere, talvolta, dei veri colpi al cuore, si chiama card-iologo. Il pedicure, ovvio, è il medico dei piedi, così come la manicure è la dottoressa che si prende cura delle vostre dita.

Una particolare specializzazione, non conosciuta così come meriterebbe, riguarda le malformazioni del ginocchio (in gergo medico, tecnicamente chiamate gin) e del collo (col), di cui soffrono frequentemente le donne. Questo specialista prende il nome di gin-e-col-ogo (che non va però confuso con il gin-ecologo, che non è un medico, ma un ambientalista, sfiduciato da anni di battaglie politiche ecologiste, e che, stanco di lottare, si è arreso, annegando le proprie frustrazioni e le proprie sconfitte nell’alcol).

Vi siete mai chiesti perché gli utenti dei medici si chiamano pazienti? Una ricerca effettuata anni fa da un gruppo di studiosi dell’Università di Porto Pazienza indica la causa nei tempi di attesa passati nelle sale d’aspetto degli ambulatori, mentre un’altra teoria propende per la pazienza nella quale i malati devono perseverare prima che il dottore riesca a individuare la giusta cura. Quando un paziente si scoccia e la rabbia gli annebbia la vista, spesso sbotta in una classica esclamazione: “Sono impaziente di guarire: non vedo l’ora di uscire di qui!”.

I pazienti meno preparati e con poca cultura, sono soliti essere esortati dal medico con una banalissima frase: “Dica 33”. Di ben altro tenore quella che devono ripetere coloro che hanno conseguito il diploma, se non addirittura la laurea: “Dica 33… trentini entrarono in Trento tutti e trentatré trotterellando”.

L’operato del medico viene costantemente sottoposto a giudizio, come a scuola, con la sola differenza che ciascun medico valuta le proprie abilità e capacità di problem solving in completa autonomia (da qui l’espressione, di antica tradizione, “Medico, cura te stesso!”). Anziché ricevere la pagella, però, i medici richiedono la parcella: più è alta, meglio è (per loro, cari pazienti, abbiate pazienza!).

Se un medico lavora da solo, perché soffre di eccessiva approssimazione e superficialità, viene chiamato generico; se lavora sempre da solo a causa di una personale difficoltà a intrecciare rapporti umani fattivi e collaborativi, viene definito clinico, in quanto, appunto, è un vero e proprio caso clinico. Se lavora in coppia, viene chiamato ambulatorio, mentre se lavora in un team composto di numerosi colleghi viene chiamato Equipe 84, per la grande capacità di “incisione”, specializzandosi sovente nelle operazioni di ernia… al disco!

Nella storia della medicina si ricorda un solo medico di origini nobili e regali. Diventò ostetrico: la sua bravura travalicò persino i confini del suo regno, e ancora oggi è considerato, per i suoi tempi, un chirurgo da favola. E’ per questo che ai bambini più piccoli si racconta la storia di Re Parto.

I medici abitano in appartamenti molto ben rifiniti e curati, che prendono il nome di case di cura e operano in locali chiamati sale operatorie. Il gastroenterologo, invece, opera in sala da pranzo; l’urologo in bagno, l’enologo in cantina, l’oftalmologo in un loft, l’ortopedico in giardino. Ai medici del pronto soccorso non resta che il corridoio.

Durante il tempo libero, i medici amano coltivare hobbies, che talvolta prendono la piega di vere e proprie deformazioni professionali. Infatti vanno sì a pesca, ma soprattutto di polipi (anali: non a caso usano le supposte come esca). Ascoltano sì la radio, ma anche l’ulna, la tibia e il perone. Guardano le radiografie come fossero puntate di un’intricatissima fiction televisiva: le radiografie, come le fiction, sono tutte uguali, ma pur sempre ricche di un fascino misterioso (e un po’ morboso).

Quali sono i requisiti richiesti per la professione? Un camice bianco (forse meglio due, vista la facilità con cui il bianco si sporca); pessima calligrafia (gradito il mancinismo, così gli scritti risultano incomprensibili a chiunque); conoscenza delle lingue (non l’inglese o il francese, ma quelle che stanno nelle bocche altrui); capacità di saper auscultare il prossimo; saper giocare a tombola (così imparano a leggere le cartelle); coltivare rose e cactus (così si abituano alle punture, cioè alle iniezioni); saper usare il bancomat senza problemi (per sapersela cavare con i prelievi).

Un fitto e tremendo mistero avvolge la vita dei medici: se hanno un’amante, come fanno a giocare al dottore e all’infermiera?