Se la rilettura del cinema (ma anche nella musica e in altri campi di arte e spettacolo) del passato è diventata una tendenza globale, non si poteva pensare non ne approfittasse anche il cinema danimazione. Lo fa nella maniera più esplicita e raffinata, visto che altri tentativi cerano già stati, ParaNorman, cartoon in 3D realizzato in stop motion diretto da Sam Fell e Chris Butler.

Protagonista del film è Norman, ragazzino appassionato di horror e affini, che parla coi morti e i fantasmi, in primis la nonna che cuce sul divano, e chiamato a liberare la cittadina di Blithe Hollow dalla maledizione che una vecchia strega ha lanciato sulla città 300 anni prima, giorno in cui venne bruciata, e che farà risorgere 7 pericolosissimi zombie.

Horror comico scritto da Butler, ParaNorman – prodotto dagli stessi di Coraline e la porta magica – prosegue sulla scia di molti prodotti animati a passo uno, ossia quella di porsi a cavallo tra storie ad altezza ragazzo, qui intese come i temi classici dellaccettazione del sé e della diversità e del farsi apprezzare dagli altri, soprattutto dai compagni di scuola, con un sottotesto filmico e concettuale più adatto a un pubblico adulto.

Aperto da una sequenza horror che pare uscita da Grindhouse e dai B-Movie di quarta categoria, ParaNorman utilizza il genere e i suoi luoghi comuni allo stesso modo con cui i maestri del genere lo usarono, ossia non solo per raccontare una storia adrenalinica, ma soprattutto per dire qualcosa sulla società americana: mettendo al centro un personaggio sì diverso, ma lontano dallessere freak o un mostro da riabilitare – come nella tradizione -, il film sottolinea per contrasto lallucinante contesto sociale e familiare che circonda Norman, tra genitori inadeguati, fratelli maggiori distorti dalla cultura contemporanea e una civiltà ottusa e reazionaria che ha voglia solo di distruggere. In questo modo, Fell e Butler possono ribaltare i cliché dellorrore, dando ai mostri il ruolo di vittime e portando lo spettatore a chiedersi chi siano i veri zombie nel racconto.

Giustamente, i due registi scelgono anche un approccio stilistico adatto, che mescola un ritmo da cinema indipendente, aperto da schizzi di humour trascinanti (la gag del distributore) e da pause riflessive, prima del finale convenzionale ma efficace con unestetica anti-disneyana ostentata, portando allincontro un facile Tarantino per bambini con le suggestioni nere di Tim Burton e Henry Selick.

La sceneggiatura ha qualche problema e nel fondere due registri molto lontani non tutti gli snodi difficili vanno a buon fine, ma le idee non mancano (molto toccante il rapporto tra i morti), la resa tecnica è eccellente, confermando la plastilina come ottimo vettore per la stereoscopia, e le musiche di Jon Brion fanno il loro lavoro. Un prodotto difficile da collocare, e infatti i risultati al botteghino sono stati un po’ deludenti, ma una boccata d’aria per un settore che sta soffrendo la crisi più di altri, specialmente in termine d’idee.