da vedere Il rosso e il blu. Perché non è retorico o intellettualmente dalla parte giusta. Né politicamente scorretto o troppo d’autore per essere capito. gradevole, invece, proprio perchè semplice nella storia senza essere banale nei personaggi e nelle dinamiche tra essi. Si era partiti, a dire il vero, un po’ prevenuti, pensando che sarebbe stato una film sulla scuola piuttosto scontato. Con alunni troppo ricchi per piegare la testa sui libri e docenti troppo disillusi per aver ancora il coraggio di insegnare. Oppure professori alla John Keating de Lattimo fuggente. O, ancora, storie di amori adolescenziali scandite da continue liti fra figli e genitori. Suggestioni da fiction, più che altro. Oltre che da uno sguardo romanocentrico borghese che è proprio di tanto cinema italiano.

Il rosso e il blu, invece, dipinge un ritratto molto lucido della scuola italiana partendo da un doppio punto di vista. Quello dei ragazzi. Figli qualunque di brava gente impegnata ad arrivare alla fine del mese. O di immigrati, lavoratori onesti e dignitosi. Figli intelligenti, ma che non si applicano. Figli che studiano e prendono buoni voti, ma si lasciano tentare da un amore sbagliato e ribelle. Figli che credono che tanto non ce la faranno mai e vivono la vita con leggerezza, minigonna e tacchi a spillo. Oppure quelli che, ancora minorenni, si prendono cura della propria madre che non regge il peso delle responsabilità.

Questo è solo uno dei punti di vista. quello bruciante di chi sta dietro il banco di scuola e vive in un mondo non sempre facile da decodificare. Né per i genitori, né per gli insegnanti. Poi ci sono loro, appunto. I professori. molto bravo il regista Giuseppe Piccioni a non cadere nel tranello del luogo comune e a valorizzare questo ruolo caricandolo di un significato definito e nello stesso tempo differente nei tre volti del prof. Fiorito (Roberto Herlitzka), docente di Arte, del giovane Giovanni Prezioso (Riccardo Scamarcio), insegnante di Lettere, e della Preside Giuliana (Margherita Buy).

Fiorito, meraviglioso nel suo essere sopra le righe verso una scuola decadente nelle strutture e negli studenti. Dotto, intellettuale, cinico e solo. Solo per volontà. Perchè il suo eloquio teatrale e burbero allontana chiunque. Eppure, nonostante si sforzi di fare terra bruciata attorno a sé in una scuola in cui non crede più, le sue lezioni colpiscono e lasciano il segno. Soprattutto lì, limbo di intellettuali semplici, ma vivi.

Fiorito è la vecchia scuola, insomma. Quella dotta e tutta d’un pezzo. Mentre dall’altra parte della barricata c’è Giovanni Prezioso, giovane e belloccio, che arriva in questa scuola come supplente. È pieno di buoni propositi e speranze, fantasia nell’inventarsi a tutti i costi un modo per interessare i suoi ragazzi. Che sono grandicelli, è vero, ma devono partire dall’ABC delle emozioni e della vita, vera e letteraria. Attentissimo verso ciascuno di loro. Alla loro sopravvivenza quotidiana, oltre che ai compiti. Bravi tutti, il regista, ma anche Scamarcio, a rendere l’inesperienza di un “pivello” al suo primo incarico in equilibrio con il cuore di un uomo che fa “l’insegnate per vocazione” e vorrebbe poter risolvere le vite di tutti i suoi alunni.

Infine, nel mezzo, c’è Giuliana. Preside attenta e premurosa, ma di polso, seppur nel tono sospirato e disperato che è caro alla Buy. È forse proprio questa disperazione che si intravede nei suoi occhi a lasciarci un briciolo di malinconia. Figlia di un sistema che non riesce più a essere monolitico come in ormai lontani tempi passati, ma che sente il bisogno di adeguare le regole del sapere all’umanità consunta dei giovani di oggi.

Bruciata, avremmo detto tempi addietro, da una quotidianità sempre più complicata da affrontare, troppo esigente di fronte a giovani fragili e melliflui. Giovanna, dunque, è la via di mezzo tra il vecchio e il nuovo. Volontà, lei, di tenere in piedi un sistema fondato su regole precise coniugandolo con il desiderio di aiutare i suoi giovani studenti anche al di fuori delle mura scolastiche. Ma un limite ci deve essere. Una sottile linea di demarcazione che permetta di non confondere ruoli ed emozioni.

Alla fine, però, che si sia professori burberi, apprensivi o distaccati, c’è un minimo comune denominatore – l’amore per la materia, per la vocazione umana che sta alla base di questo mestiere o entrambi – che segna inevitabilmente le vite degli insegnanti e degli studenti. In uno scambio reciproco di esperienze.