Qualcuno dice che il futuro non esiste. Che viviamo di solo presente. Fatto di azioni ed emozioni concrete, tangibili. Valide solo nell’istante in cui le proviamo o agiamo. C’è poi un posto vicino Seattle che è il buco nero del tempo. Qui il futuro non esiste per davvero. Inghiottito com’è dagli spasmi della vecchia miniera del paese. Con cui si sfamavano le bocche di tutti i suoi abitanti. Questo, però, accadeva molti anni fa, quando quel mostro di terra traforata era ancora attivo e ogni sera rigurgitava dal suo ventre rassegnati lavoratori che vi si erano tuffati quando il sole era sorto da poco.
Poi, un giorno, quel gigante viene chiuso. Con esso l’accesso a ogni forma possibile e dignitosa di vita futura e presente. Gli abitanti si lasciano andare. Sopravvivono. Si trascinano. Con essi i loro figli, vero e autentico accesso al domani. Il film racconta il dramma di un paese che sta per spegnersi. Non solo perchè la miniera attorno a cui sorge ha tolto di che sfamarsi agli abitanti della piccola città, ma soprattutto perchè i bambini, i figli di questi stessi abitanti, scompaiono. Uno a uno. Come se il destino di questa gente – quello, cioè, di vedersi scivolare dalle mani qualsiasi possibilità di riscatto – sia segnato.
Così al tempo che scorre immobile e vuoto, alla rassegnazione per una sorte ingiusta ma inevitabile, all’umidità che rende miseri e sporchi gli animi degli abitanti di Cold Rock, si aggiunge il dolore di padri e madri che vedono dissolversi nella nebbia buia dei boschi i propri figli. Unica prova concreta che qualche cosa di buono nella loro vita lo hanno fatto per davvero. Non si sa di chi sia colpa. Se dei muri di questa città ormai fantasma o se dei suoi uomini, che non sono stati capaci di fronteggiare limprevedibile. Di immaginarsi un piano B di sopravvivenza.
Il film di Pascal Laugier parte da un dato reale: la scomparsa, negli Stati Uniti, di 800.000 bambini l’anno. Cinematograficamente coinvolgente, I bambini di Cold Rock avvince con una trama resa complessa anche dal ritmo, scandito da frequenti e improvvisi colpi di scena che rivelano una realtà ben più tragica di quella raccontata inizialmente.
Oltre a ciò, è il tema che affascina. Quello del futuro, appunto. Non solo nel suo rapporto con il presente e nel significato simbolico che i bambini rappresentano, ma anche nell’arbitrarietà o meno di cui ognuno di noi dispone nella scelta della propria vita. Il Caso non esiste a Cold Rock. Né un Dio, qualsiasi esso sia.
C’è un uomo nero – noi lo chiameremmo così, mentre i suoi abitanti lo hanno soprannominato l’uomo alto – che avvolge i bambini sotto il suo mantello scuro e li porta via. È lui che decide il loro futuro. Noi spettatori viviamo la disperazione dei genitori, che non sapranno mai che fine hanno fatto i loro figli. Mentre noi, a un certo punto, siamo crudelmente condotti lontano. Ci lasciamo alle spalle Cold Rock, ma con un senso di nauseante malinconia.