Insieme a James Bond, non possiamo dimenticare i 50 anni di Diabolik (si pronuncia “Diabòlik”, non “Diabolìk”), personaggio dei fumetti creato da Angela e Luciana Giussani nel 1962. Fin dal primo numero, intitolato Il re del terrore, Diabolik si presenta ai lettori come un ladro spietato, sicuro, inafferrabile, impegnato giorno e notte (più la notte) a rubare denaro e gioielli, a inventarsi colpi e rapine nelle quali dà sfoggio di abilità con coltelli, veleni, travestimenti e sofisticati marchingegni. Già nel terzo numero della serie incontra la bellissima Eva Kant: più che la bellezza, a colpire Diabolik sono la sua erudita conoscenza della filosofia immanentistica (è infatti pronipote di Emmanuel Kant, filosofo illuminista). Eva diventa così la sua compagna di vita. Ma più che compagna, è in realtà la vera protagonista del fumetto. Scoprirete infatti che è proprio lei a compiere i colpi più audaci, travestita appunto da Diabolik. Non ci credete? Leggete la lettera, scritta ma mai spedita da Eva alla zia di Diabolik, che abbiamo ritrovato, nella città di Clerville, in una delle caverne segrete, abbandonate non molto tempo fa, in cui la coppia ha vissuto per qualche anno.

Carissima Zia Bòlik,

Sono vostra nipote acquisita Eva Angelika Kant, la vostra Eva Kant. Vi ricordate? Eravate voi che, mentre da poco mi ritrovavo innamorata, la sera mi facevate addormentare con soavi kantilene, dopo aver meco dissertato se la Critica della ragion pura può essere definita come un’analisi critica dei fondamenti del sapere oppure no; eravate voi che, ogni Capodanno, brindavate a me, chiamandomi la mia piccola Kantina.

In questa lettera non vorrei parlarvi di me, né tantomeno se la conoscenza filosofica preceda ogni esperienza empirica o debba essere descritta da un’analisi critica svolta dalla ragione. Ciò che più mi sta a cuore è raccontarvi di vostro nipote. Sì, quello scansafatiche impenitente – permettetemi di dirvelo, zia carissima – del figlio di vostro fratello maggiore, di vostro nipote Dobrogost Iaroslavenceslav Agniewomir Bòlik, nato in Slovacchia, di professione ladro, fuggito prima a Presov (anche se, permettetemi lignobile battuta, lì non lhanno mai presov), poi a Trnava (dove, perdonatemi ancora, ndava e trnava in continuazione per sfuggire alle indagini della polizia), rifugiatosi successivamente, sotto mentite spoglie, a Clerville, ridente cittadina al confine tra Svizzera e Francia, e diventato famoso con il nome di Dia Bòlik (poi erroneamente trascritto da tutti come Diabolik).

Come ben ricordate, ci siamo conosciuti una sera sotto un tendone. Da circo. Io a quel tempo ero una laureata, interessata tanto allEstetica e alla Dialettica trascendentale quanto al recitar, al ballar e soprattutto al kantar. A quei tempi, sembrava più semplice un lavoro da artista che non da filosofo (donna, per di più): avevo il terrore di finire a fare la manovale in un kantiere edile (in questo, forse, terrorizzata da una frase del mio nobile prozio Emmanuel: La filosofia richiede la stessa applicazione di un muratore alle prese con una casa: bisogna costruirla mattone dopo mattone.  Lì capii che per approfondire questa teoria, avrei dovuto vincere le mie paure e lanciarmi nello studio del criticismo).

Fu allora che feci la sua conoscenza, del vostro caro Dobrogost Iaroslavenceslav Agniewomir, intendo. Lasciati per il momento alle spalle i problemi con la giustizia, lavorava (si fa per dire) nel circo Togni doro. Vostro nipote era la vera colonna dello spettacolo. Toccava a lui aprire la serata, con un numero da mimo. Quanto mi faceva ridere il vostro Dia Bòlik con quel costume aderente nero, invero assai ridicolo! A metà programma, poi, indossando sempre gli stessi panni, si esibiva nella sua specialità: il lancio dei coltelli. Contornava di lame la sagoma del corpo del malcapitato di turno (solitamente, uno squattrinato con debiti pendenti nei confronti del suddetto circo), fino allultimo colpo – permettetemi ancora, cara zia – proprio là. Zac! Lanciava sicuro. Quante voci bianche adulte ha regalato ai cori di mezzo mondo che ancora gli sono debitori!

Ma torniamo a noi, cara Zia Bòlik. Devo infatti, con grande rammarico, confessarvi una cosa: in casa, nei lavori domestici, il vostro Dia Bòlik è sempre stato una vera frana. Sarà stato in passato molto abile nel maneggiare i coltelli, purtuttavia qualcuno in famiglia avrebbe dovuto a buon diritto insegnargli luso di cucchiaio e forchetta: pensate, con una sola lama è sempre riuscito a mangiare gli spaghetti e financo la minestra di verdure, senza lasciare traccia alcuna di sugo o di brodo nel piatto! Non ha mai amato discernere meco di filosofia, ma quel che è peggio è che egli ha una ben misera fissazione, una sorta di tarlo maledetto che gli rode il cervello: vive in funzione della sua Jaguar E-Type, che tiene lucidata come un mobile in palissandro, antico quanto costoso. Passa ore e ore in garage, dove indossa una strana tuta nera, ma in pelle di daino, che è solito usare sempre e solo per asciugare la macchina, tenuta ben pulita in maniera quasi maniacale.

Quando poi è il momento di fare le pulizie di casa, lui scappa, si eclissa, fa perdere le sue tracce: capisco perché certa letteratura lo ha ribattezzato “il Genio della Fuga”… Sono gli stessi che non la finiscono di elogiare la maschera nera che porta fin sulla bocca e che – me lo avete detto tante volte anche voi, zietta cara – “gli dà quel fascino da bel tenebroso”. Fandonie! Quella è semplicemente una sciarpa aderente, perché il vostro Dobrogost Iaroslavenceslav Agniewomir soffre di tracheite dall’età di 11 anni. In siffatta maniera, e proprio a causa di ciò, quando parla nulla si comprende: egli biascica tutte le parole. Ciò è davvero insopportabile!

E vogliamo spendere qualche parola su quel che combina ogni martedì sera? Per anni a parlarmi entusiasta di Locke o Newton, di Leibniz o Spinoza e del circolo Philo Sophia Loren, di cui si è sempre vantato di essere socio fondatore. Sapete invece che fa? Si ritrova in un pub semiclandestino, fuori Clerville, in compagnia dell’ispettore Ginko e di altri amici suoi, con i quali si trastulla in interminabili partite di tresette ciapanò! E il sabato sera? Canasta con i vecchi amici del Rotary? Magari! Un’asta di beneficenza con la benemerita Società Filatelica Svizzera, sezione di Losanna? Neanche per idea! Dal momento che Ginko, l’ispettore, da vecchio tifoso di calcio del Servette qual è, il sabato sera non punta mai il piede fuori casa, suo nipote non trova di meglio che ritrovarsi a cantare il karaoke in qualche locale della zona con il fratello di Ginko, il famoso cantante Ricky Ginko, che spesso si esibisce con sua sorella, Gimkana, una donna tutta curve che ha fatto girar la testa a tanti mariti (e forse anche al mio).

Come ho fatto, allora, ad innamorarmi, vi chiederete. Già… bella domanda. Semplice, vi rispondo, per due motivi. Primo, era geniale nei travestimenti. Un giorno, per poter parcheggiare la sua Jaguar senza dare troppo nell’occhio, si è travestito da strada (Via Bòlik). Un sabato pomeriggio, decisa a fare shopping con le mie amiche, mi ritrovo in ritardo per un banale contrattempo: lui – carinissimo! – si è travestito da centro commerciale (Iper Bòlik) per la felicità mia e delle mie affezionate sodali. Quante volte, poi, per aiutarmi a stendere i panni, si è mascherato da corda tesa da equilibrista (Funam Bòlik). E che spavento quel giorno che è entrato in ospedale per accertamenti, camuffato da minuscola bolla d’aria (Em Bòlik): c’è mancato poco che gli causasse danni seri alla salute. Secondo motivo, ben più pragmatico del precedente: il vostro Dia Bòlik, pur di famiglia poco abbiente, era diventato molto ricco, anche se non aveva ancora ritentato la via del crimine.

Come aveva fatto i soldi? Investendo i suoi primi stipendi da mimo e lanciatore di coltelli nel Korešpondencia Predmet Electra Radio, uno dei primi corsi per corrispondenza della Scuola Radio Elettra slovacca. Diventò così, a suo dire, esperto di costruzioni di rifugi segreti in centro città. Sul fatto che ci sia riuscito, ho sempre nutrito dei dubbi. A Clerville, ogni mamma indica con un certo orgoglio al proprio pargoletto la nostra casa esclamando: “La vedi quella? E’ la casa di Dia Bòlik!”. Strano, vero? E poi perché mai gli esattori delle tasse ci recapiterebbero le loro cartelle esattoriali, che, tra l’altro, sono sempre salatissime? Avranno forse scoperto che sono io, per conto di Dia Bòlik, a mettere a segno i colpi più redditizi?

Eh sì, cara Zia Bòlik, voglio proprio rivelarvi questo inconfessabile segreto: voi avete sempre pensato, come le care sorelle Giussani, e come pure l’ingenua polizia di Clerville, che il “Ladro dai 1000 Volti”, il “Genio del Delitto”, l’”Assassino Fantasma” fosse il vostro caro nipote Dobrogost Iaroslavenceslav Agniewomir Bòlik, detto Dia Bòlik. E invece no: la vera protagonista sono io, la vostra Eva Kant, desiderosa di essere ricercata dalle polizie di tutto il mondo, ma soprattutto dall’Interpol della Confederazione elvetica con il nome in codice di “Inafferrabile regina del terrore dei quattro Kantoni”.

Vi aspetto comunque un giorno a Clerville, per fare quattro chiacchiere e prendere un tè in compagnia; mi piacerebbe approfondire con voi una serie di temi, tanto cari al mio avo, a riguardo della legge che ordina la materia sensibile. Secondo voi, la realtà, come ci appare in base alle forme a priori, è il fenomeno, mentre la realtà così com’è, è indipendente da noi ed è inconoscibile, oppure no?

 

Un saluto, con affetto, dalla vostra diabolika

 

Eva Angelika