Dopo tante polemiche, è arrivato finalmente il momento di aprire i battenti per il Festival Internazionale del Film di Roma, che si tiene dal 9 al 17 novembre. Per la sua prima direzione della kermesse capitolina, Marco Müller è chiamato alla sfida decisiva della sua carriera (almeno in Italia, perché di porte spalancate allestero ne avrebbe comunque a bizzeffe): dare un senso a un festival che in sei anni ha cambiato nome e volto senza mai riuscire a trovare una sua identità, continuando tra laltro a pagare il peccato originale di essere nato come festival politico (nella gestione Veltroni).

Popolare, pop e di ricerca: è come probabilmente lo vorrebbe Müller e bisogna vedere come lo interpreterà la stampa (non pochi quotidianisti ce lhanno con lui) e come sarà accolto dal pubblico – i romani non hanno mai davvero amato questa manifestazione, anche perché continuano a non amare il luogo che la ospita, quellAuditorium da cui la nuova direzione vorrebbe allontanarsi o, almeno, parzialmente sganciarsi.

Programma alla mano, i film interessanti sembrano esserci e sembrano essere molti di più di quanto non fossero nelle passate edizioni. Mancano, è vero, i grossi nomi americani, ma quello è un lavoro che va costruito sul lungo periodo e in ogni caso non è e non deve essere dal numero di star hollywoodiane presenti che si valuta un festival. Anzi, a quei divi che comunque calcheranno il fatidico red carpet (Sylvester Stallone e James Franco in primis, ma anche Jude Law, Guillermo Del Toro, Adrien Brody, Tim Robbins, Bill Murray e altri), Müller ha intenzione di chiedere qualcosa in più: ecco perciò lincontro organizzato con James Franco e la presentazione di alcuni progetti cui lattore-regista ha partecipato (Tar), a dimostrazione di una carriera capace di spaziare dal blockbuster allindie, alla sperimentazione.

Tra i premi assegnati dal Festival due novità come il Maverick Director Award, destinato a celebrare i maestri che hanno contribuito a inventare un cinema lontano dagli schemi che sarà assegnato al regista de I guerrieri della notte Walter Hill, lultimo dei classici americani, e il Vanity Fair International Award for Cinematic Exellence, riconoscimento in collaborazione con Vanity Fair dedicato al film che esprima al meglio il contributo innovativo, artistico e strategico, delle realtà produttive e distributive che si sono distinte nel mondo del cinema, consegnato a Rise of the Guardians, lultimo film 3D della Dreamworks Animation SKG.

Interessante la scelta dei tre titoli italiani: E la chiamano estate di Paolo Franchi, che pur essendo un regista discontinuo non è privo di una sua personale visione; Il volto di unaltra di Pappi Corsicato; e soprattutto Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, uno degli autori più promettenti del panorama cinematografico nostrano, a cui si affianca fuori concorso Il cecchino (Le guetteur), il film francese di Michele Placido. Lo spirito è quello di mescolare grandi anteprime come quelle dei film di apertura Aspettando il mare di Khudojnazarov e di chiusura Una pistola in cada mano di Cesc Gay, con la sezione CinemaXXI – quello che sarà forse il vero cuore del festival – in cui vi sono i nuovi film di registi che hanno fatto e continuano a fare la storia del cinema (Julio Bressane, Manoel de Oliveira, Amos Poe, Paul Verhoeven, Peter Greenaway, ecc.); e non troppo di minor peso appare la selezione del concorso che, pur non annoverando quei riconosciuti e rinomati auteurs vantati da Venezia, è riuscita a mettere in fila Takashi Miike, Kira Muratova, Larry Clark, Valerie Donzelli e Feng Xiaogang, il cui 1942 è il primo dei due film-sorpresa del festival (vecchia mossa strategica mulleriana), laltro è un altro amore del direttore, e di molti cinefili, il Johnnie To di Drug War.

Si chiude con le proposte di Prospettive Italia – la versione romana del Controcampo italiano veneziano – da La scoperta dell’alba di Susanna Nicchiarelli a Razza bastarda di Alessandro Gassman, da L’isola dell’angelo caduto, esordio di Lucarelli, fino a Cosimo e Nicole di Francesco Amato con protagonista Riccardo Scamarcio. Un festival ricco ma non sovraccarico, curato, ma anche un po’ labile e passeggero per il poco tempo. Forse Müller non sarà molto amato, ma gli va riconosciuto occhio nella scelta dei film: un programma del genere, sulla carta, Roma non l’aveva mai avuto.