Ci sono film che vanno visti e basta. Lasciandosi attraversare dal fiume di immagini che scorrono sullo schermo, dalle emozioni che quella storia vuole raccontarci. Non importa se sono un pugno nello stomaco. Bisogna farlo e basta. Così è per Venuto al mondo, con cui Castellitto disegna un universo perfetto di amore, dolore e rinunce. Con una vicenda – tratta dal romanzo della moglie Margaret Mazzantini – complessa nei personaggi e nellintreccio del dramma, ma raccontata con la straordinaria fluidità che coniuga autorialità e immediatezza delle immagini che solo certo cinema straniero conosce.
Grazie allabilità del regista, che conferisce a ogni parola, gesto o sguardo un preciso significato. E grazie alla performance degli attori – Penelope Cruz, Emile Hirsch, Pietro Castellitto. Tutti bravissimi a interpretare un ruolo che pare scritto su di loro.
Gemma e Diego (la Cruz e Hirsch), ovvero un mondo di amore folle e sconsiderato, ma giusto. Due anime gemelle pure che non bruciano nella scintilla del loro sentimento, ma se ne alimentano giorno dopo giorno. Dal primo incontro, avvenuto in Bosnia, dove Gemma si reca per degli studi e Diego, americano, per fotografare quellangolo di terra. Quando la guerra ancora non cera e nella compagnia di Gojko, la guida locale di Gemma, si respiravano solo leggiadria, poesia, musica e arte.
Poi inizia la distruzione, che annienta case, persone e sentimenti, lasciandosi alle spalle corpi maciullati dai proiettili o dalla fame. Fango e sangue. Sterilità. In un Paese in lotta con se stesso e nellutero di Gemma. Che non riesce ad accogliere il figlio tanto desiderato di Diego, riaprendo, insieme a quella maledetta guerra, ferite dolorose nel cuore ancora un po bambino del fotografo americano. Un amore drastico, il loro. Estremo nel sentimento e nei gesti. Nelle scelte. Che li conducono sul terreno minato non solo della devastata Sarajevo, ma anche dellincerta via di fuga attraverso cui generare il frutto della loro unione.
Cè troppa purezza tra di loro perché questo sentimento possa restare immacolato di fronte alla brutalità del conflitto. Lutero in affitto di Aska è luogo di vita, di speranza, di futuro, ma, ferito dallignoranza umana che si infiltra nella Storia, ne diventa triste e malinconico testimone.
Un amore complesso, dunque, il loro. Leggiadro e dilaniato, mai egoista, ma sempre altruista nel cercare, assecondare e desiderare la felicità dellaltro. Qualunque cosa questo comporti. Per Gemma, ma anche per Diego, che trova nella vita che gli sta addosso loccasione per rimediare ai suoi sbagli passati.
Castellitto è bravissimo nel raccontare la gioia e il dramma della loro unione senza cadere nel patetico, nel retorico o nell’errore di giudicare le loro scelte. Costruisce, così, una vicenda che si dipana come un labirinto di vite, uomini e donne complessi, in nulla banali, il senso delle cui esistenze sarebbe potuto essere spazzato via come il vento.
Per fortuna, però, arriva Pietro. Il giovane e scalpitante Pietro. Che con la magrezza di un corpo che mette in risalto l’azzurro limpido dei suoi grandi occhi, dà senso a tutto. Anzi, a tutti. Non solo all’amore di Gemma e Diego, ma anche a quella leggera e felice compagnia di uomini e donne sopravvissuti che ancora vivono con Gojko.
Un’isola è il loro rifugio. Come fosse l’utero di un Paese un tempo ferito che ora cerca di non pensare più al male che ha vissuto. Un luogo circondato di acqua trasparente che purifica i loro occhi dalle atrocità che hanno dovuto subire. Un angolo di terra che diventa meta del lungo viaggio che Gemma intraprende con Pietro. Cammino di ricordi e di nuove consapevolezze per la donna non più giovane. Viaggio di formazione per il ragazzo ormai non più bambino.
In fondo Sarajevo è la sua terra madre. Solo qui può cogliere il senso delle sue origini. Annusare l’odore dell’aria che lo ha messo al mondo. Tuffarsi nell’acqua che circonda quest’isola. Per nascere di nuovo. Per venire al mondo.
Lui, che da piccolo si nascondeva nell’armadio per fuggire alle furiose liti tra i suoi genitori, ora non riesce più a far finta di nulla. La sua anima gli chiede il conto, in un modo tutto suo. Diego scappa dal ventre vuoto di sua moglie e si rifugia laddove non può più evitare di guardare lo strazio, di sentire l’odore del conflitto, di scendere in campo per immortalare le macerie o per portare in salvo chi incontra sul suo cammino. Non riesce più a scappare.
L’eroina da cui era stato dipendente per anni grazie alla quale aveva lenito il dolore di un’infanzia mortificata era stata spazzata via dall’incontro con Gemma, dolce nel suo sapergli riempire la vita. Ora la sua nuova eroina diventa Sarajevo e la necessità di esserci per espiare le proprie colpe.