Il fascino del Giappone, la delicatezza di una storia damore, la nostalgia del passato, la poesia del maestro Miyazaki: sono questi gli ingredienti de La collina dei papaveri, il nuovo film che ci regala il celebre Studio Ghibli, sceneggiato da Hayao Miyazaki e diretto dal figlio Goro. Purtroppo è stato nelle sale italiane solo per un giorno, il 6 novembre, ma chiunque abbia la fortuna di vederlo, non ne rimarrà deluso.

Forse mancano il simbolismo e la visione onirica di capolavori come La città incantata, ma La collina dei papaveri è un gioiellino, una di quelle storie classiche che incantano con la loro semplicità e con una colonna sonora (firmata da Satoshi Takebe) che dà risalto alle emozioni, interpretando il sottile equilibrio tra il vecchio e il nuovo, tra i ricordi dinfanzia e le speranze per gli anni a venire.

Umi, che in giapponese significa mare, è unadolescente che abita con la nonna e la sorella minore nella cittadina di Yokohama, in una grande casa sulla collina dei papaveri, a picco sulloceano. Siamo negli anni Sessanta, un periodo di transizione tra il passato e il futuro, tra il paesaggio incontaminato e le fabbriche che sbuffano fumo, mentre gli studenti si battono per affermare le loro aspirazioni e per salvare le tradizioni del loro Paese.

La Storia entra nella vita quotidiana degli abitanti della cittadina: ogni mattina, Umi alza le bandiere di segnalazione, in un nostalgico omaggio al padre marinaio morto durante la guerra di Corea. Qualcuno, dal porto, risponde al suo gesto, mentre un ragazzo pubblica sul giornale della scuola una poesia anonima, in cui si rivolge alla fanciulla che manda il suo pensiero al cielo, attraverso le bandiere.

Lidentità dellautore si svela soltanto il giorno in cui Umi conosce il diciassettenne Shun Kazama, uno dei capi della lotta studentesca per salvare ledificio storico in cui ha sede il Quartier Latin, e resta affascinata dagli ideali che animano il ragazzo. Il processo di modernizzazione in corso nel Giappone degli anni Sessanta rischia di distruggere il passato, con le sue scartoffie, le teorie scientifiche, le leggende e le filosofie, conservate sotto gli strati di polvere che si accumulano nel palazzo destinato alla demolizione.

Colpita da Shun e dalla sua intelligenza, Umi decide di aiutarlo e coinvolge le ragazze nel progetto di ristrutturazione del Quartier Latin, con l’obiettivo di convincere il proprietario (un industriale di Tokyo molto indaffarato, ma dal cuore buono) a tenerlo in piedi. E tra un articolo di giornale e un pomeriggio di pulizie, tra Umi e Shun nasce un rapporto tenero e confidenziale, che ha tutte le caratteristiche dell’amore, ma che rischia di non potersi mai esprimere veramente. I due ragazzi, infatti, scoprono di dividere un segreto sulle loro origini: il padre adottivo di Shun ha accolto il bambino dalle braccia del padre di Umi. Possibile che i due siano fratello e sorella? Soltanto il ritorno della madre di Umi, che era all’estero per lavoro, permette di scoprire la verità e di risolvere ogni dubbio.

La storia, tratta da un manga pubblicato nel 1980, disegnato da Chizuru Takahashi e scritto da Tetsuro Sayama, affronta il tema dell’impossibilità di guardare al futuro quando non si conosce il proprio passato: una teoria che vale per i singoli così come per i popoli, che spesso rinunciano alle tradizioni in nome di un progresso troppo veloce e impersonale. Un argomento che tocca le corde del cuore, raccontato con delicatezza e attenzione estrema al dettaglio quotidiano: quando Umi prepara il riso, o si reca al mercato, sembra di entrare con lei in un mondo lontano, di sentirne i profumi e i sapori.

È questa la magia di Miyazaki, che con le parole e i disegni riesce a creare un quadro vivente, dove lo spettatore è avvolto dalla nebbia che cala sul porto e invitato a cena nella grande cucina della protagonista, sfoglia i vecchi tomi polverosi e condivide i sogni e le speranze di una generazione.

Ancora una volta il maestro giapponese dimostra che non è l’originalità che conta, in una storia, ma il modo in cui si sceglie di raccontarla.